Miti – Storia di una foto e di tante bugie
Chi è volesse cercare di stabilire un nesso tra verità e informazione non può perdersi l’ultimo film di Clint Eastwood. Seconda guerra, fronte del Pacifico, Iwo Jima, uno sbarco e una fotografia. Flags of our fathers è la storia di un’immagine di guerra e di quali strade un semplice scatto può percorre in nome di una propaganda orchestrata da chi al fronte non è mai andato ma ne conosce i costi soprattutto economici. E’ la messa in scena di una manipolazione e di quello che può indurre una fotografia sull’opinione pubblica, perché prioritario è trovar fondi per uno sforzo bellico che li ha esauriti tutti.
E’ la storia di tre soldati, dei loro ricordi di guerra, delle loro bugie. E del bisogno di ognuno di loro di render giustizia alla necessità di verità. La foto, che rappresenta la conquista di una roccia dell’isola giapponese da parte di un piccolo gruppo di soldati americani, verrà riproposta da Eastwood sotto forma di poster, scultura, gelato con crema di amarena nella sua macabra genesi accompagnando le vite dei sopravvissuti. Il film, senza le ambizioni di un kolossal, mostra facce, dolori, ricordi con poesia e rispetto, prendendo lo spettatore per mano, come pochi registi sanno fare, per raccontargli le schegge di vite devastate, impossibili da narrare ai figli.
Dopo i titoli di coda verranno in mente a molti spettatori fotografie storiche e di famiglia, quanto è stato detto loro da chi quella guerra l’ha subita, o vi ha partecipato, dalla parte giusta e da quella sbagliata. E se quegli spettatori avranno qualcuno in famiglia, nonni o padri ancora in vita, certamente sentiranno un senso di perdita, come un sospeso. Ma se ci sarà tempo, magari nelle feste, si potrà approfondire. Perché è anche da lì che proveniamo.
(Giulia Parodi)