Migranti/2 – Un nome simbolo di repressione
Sabato 11 novembre, dalla manifestazione dei senegalesi, quando già era giunta nei pressi di piazza De Ferrari dove si sarebbe conclusa, s’è levato a lungo il grido d’un nome. Quello di un ispettore delle forze di polizia dai senegalesi giudicato un persecutore, nonché responsabile diretto dei gravi comportamenti denunciati nel loro volantino.
C’era anche dell’altro nella manifestazione: la questione dei permessi di soggiorno e della legge che disciplina i fenomeni migratori, i Cpt, il carcere, e la criminalizzazione cui è continuamente esposta la vita degli immigrati. È evidentemente questo quadro più ampio ad essere messo in discussione. I dispositivi normativi e sociali che informano la vita dei migranti li costringono a gravitare ai margini del diritto, ai bordi della cittadinanza, in quella zona grigia dove il potere è già un ricatto con la sua presenza.
Ma la manifestazione chiedeva specialmente la libertà per il compagno provocato, aggredito e arrestato, gesti nel caso specifico ricondotti all’operato dell’ispettore di cui veniva urlato il nome. Non deve essere stato facile arrivare a tanto e proprio questo dovrebbe segnalare la situazione esasperata in cui si trovano a vivere gli immigrati a Genova.
La manifestazione che ha preso le mosse dai fatti di via Pré sembra contenere in se due messaggi, di segno diverso. Da una parte il fatto che spesso le mobilitazioni sono legate ad emergenze contingenti, ad episodi che sembrano colmare la misura. Dall’altra la necessità, per chi si occupa dei fenomeni migratori, specie se in una prospettiva politica, di conoscere la realtà delle forme di repressione e il suo impatto sui modi di vita plurali e molteplici, anche all’interno delle stesse comunità di immigrati. Al momento la repressione non sembra ancora essersi tradotta in un fattore unificante del mondo dei migranti. Alla manifestazione infatti, nonostante i richiami ad una solidarietà più vasta, partecipavano soprattutto senegalesi
(Jeff Quil)