Baby-gang. Qualche risposta in più su come nasce la violenza

Mercoledì 8 Settembre alle 21 un dibattito molto laterale della Festa Unità Nazionale fornisce qualche risposta sul perché della violenza dei “giovani maschi” latinoamericani: titolo “Genova e il Continente desaparecido”.


Il quadro che ne esce non è più consolante, ma è certamente più comprensibile, credibile e chiaro di quello tracciato in modo affrettato da Maggiani nel suo articolo.
Fernando Taboada (Uruguay), Maria Eugenia Esparragoza (Venezuela), Graciela Delpino (Ecuador) e Rocio Ruiz (Perù) in sostanza ci dicono che parlare di emigrazione Latino Americana è parlare di donne, di percorsi di emancipazione di donne. Molte di quelle che emigrano sono donne delle città, altre sono contadine che hanno già passato una storia di emigrazione interna dalla campagna alla città. Sono loro che partono in base a una strategia decisa già da tempo dalla famiglia e dal vicinato. Tutta la famiglia investe su questa partenza, si contraggono debiti a volte pagati a tassi usurai. Le donne vanno avanti perché hanno più facilità a trovare un lavoro. I figli e il marito seguono, dopo pochi mesi o dopo molti anni. Ma, quando arrivano, gli uomini, i mariti, faticano a trovare lavoro. Loro che in patria erano il centro, si trovano a dipendere dalle mogli e si consolano di questa umiliazione stando in gruppo, bevendo.
I figli poi, quando la madre emigra, vengono lasciati ai parenti, che a volte non si responsabilizzano come sarebbe necessario. In Ecuador sta aumentando il numero delle ragazze madri, degli aborti, dei suicidi tra i ragazzi. Quando arrivano qui, ormai adolescenti, a volte faticano a riconoscere una madre che intanto fa un lavoro che la occupa un’infinità di ore al giorno, tutti i giorni. Quanto alla scuola, i ragazzi tentano di sfuggire a una scuola che non può venire loro incontro: i genitori latinoaericani sono abituati ad affidare totalmente i ragazzi alla scuola, mentre qui si chiede loro di fornire un sostegno allo studio dei figli che non è nelle loro possibilità e nelle loro abitudini. I ragazzi non trovano risposte alla domanda “chi sono io”, e cercano nelle bande la sicurezza che a loro manca, subiscono l’influenza dei media, trovano in luoghi come la “Fiumara” il loro feticcio. In alcuni casi il tutto degenera in comportamenti violenti, ma questa non è una novità degli ultimi due mesi.
Ad ascoltare e a cercare qualche risposta circa 50 persone, sia italiane che latinoamericane, riunite in un angolo dello “Spazio Africa”. Uno spazio “Latino America” alla Festa non è stato previsto. Tra i presenti nessun pubblico amministratore e diversi sindacalisti della CGIL. Io, tra loro, penso che le trasformazioni delle donne segnano anche in questo caso un punto di contraddizione che lascia gli uomini disarmati. Penso però anche ai moltissimi latinoamericani che lavorano nei nostri cantieri: dei 3.270 immigrati iscritti alla Cassa Edile Genovese, 1.136 sono infatti ecuadoriani. Rifletto infine che la “Fiumara” l’abbiamo costruita noi.
(Paola Pierantoni)