Libri – Dove abbiamo vissuto e dove viviamo
S’intitola “Sragione di Stato” (BUR 2006) e parla di “deviazioni, intrighi e complotti di un passato mai chiuso”. E nelle parole “mai chiuso” c’è la ragione del libro. Non può approdare alla normalità la vita politica di un paese che non ha diritto alla verità. Un paese costretto all’ignoranza su vicende terribili che hanno travagliato la sua vita negli ultimi 40 anni – a cominciare dalle stragi impunite – avvilito da depistaggi e con armadi pieni di segreti di stato.
Del libro di Arcuri qui si parla perché fa i conti con la cronaca. Quella massa sterminata di notizie, inchieste, immagini che quotidianamente lampeggiano davanti ai nostri occhi; in un vortice che finisce per privarle d’alcun senso. Arcuri, giornalista di mestiere, non ricorre a fonti segrete, esclusive, incontrollabili come spesso fanno gli scrittori di misteri che spesso risultano ai lettori più misteriosi dei loro libri. Arcuri è uomo di cronaca, usa notizie alla portata di tutti, le analizza, le collega e alla fine le interroga. E invita tutti a fare la stessa operazione fatta da lui, cioè ad interrogarle. Con la domanda più semplice del mondo: in che paese abbiamo vissuto? E ancora: c’è o no un rapporto tra il paese dove abbiamo vissuto e quello dove oggi viviamo?
Domande che dobbiamo porci – sostiene Arcuri – non per un generico bisogno di storia. Piuttosto perché la realtà d’oggi, della cronaca quotidiana, dai fatti del G8 allo scandalo Telecom, al Sismi di Pollari, rivela di continuo l’esistenza di una “mano invisibile”, silenzi impenetrabili, tabù inquietanti e, naturalmente, di omissis. Una “mano invisibile” come quella che ha impedito ai cittadini italiani di sapere chi erano e cosa si ripromettevano gli autori di una mezza dozzina di stragi, quali le connivenze con gli apparati dello stato, grazie a quali segreti patti si sia perpetuato il silenzio sui fatti accaduti. La “mano invisibile” esiste. E’ la stessa che controlla la vita del protagonista narrante del libro di Arcuri, un generale dei carabinieri, che attraversa tutti i gradi dell’Arma, negli ultimi 40 anni del Novecento. Nel libro di Arcuri la voce del generale non è la gola profonda, la fonte di rivelazioni straordinarie. Piuttosto un espediente narrativo, un filtr o, l’introduzione di un piano personale a fianco di quello della grande storia. Arcuri usa le risposte del testimone per costruire le sue storie.
Dietro al libro c’è una ideologia, una passione: del vivere civile, di fare la propria parte, di non smettere di interrogarsi. Non è un caso se chiude con una nota di ammirazione per le “migliaia di cacciatori di notizie in marcia” – sono i giorni terribili del G8 – “biro o telecamera a tracolla, per catturare ciascuno la propria fetta di verità”, sentinelle convinte a difesa dei sempre incerti “confini tra cittadini e potere”. Forse non salveranno il mondo – scrive Camillo – ma di sicuro daranno una mano. Si capisce che lui vorrebbe essere stato lì con loro e il suo libro è un modo per dirlo.
(Manlio Calegari)