Quirinale – La presunta fisiologia dello sdoganamento
La pagina 24 di Repubblica di venerdì 3 novembre, oltre a registrare su quattro colonne con tamburo l’ok dei gesuiti (a quanto pare indispensabile…) al trio di “laici teneri” Amato-Rutelli-Pera, riporta alcune dichiarazioni del presidente della Repubblica. Si apprende così che, intervistato recentemente da Bruno Vespa, Giorgio Napolitano considera “fisiologico” che un giorno il suo posto venga occupato da un uomo di destra atto a “rappresentare tutto il paese”.
A fargli eco, significativamente, non è il rappresentante di una sempre più introvabile destra “liberal”, ma il solito deputato di An: “Possiamo considerare scontato e normale – dichiara l’ex ministro dell’agricoltura Gianni Alemanno – che il prossimo inquilino del Quirinale possa essere […] uno che venga dalla nostra storia politica”. Persino scontato, nonché normale, rilevare invece che, per quanto riguarda AN, è proprio la storia a renderne gli eventuali candidati inadeguati a ricoprire certe auguste magistrature… In nome di questa incompatibilità fra la democrazia, per quanto accidentata, e un passato mai definitivamente accantonato, appare inoltre lecito interrogarsi sulla dinamica di certi sdoganamenti veri o (trattandosi di Napolitano) più verosimilmente presunti.
La metafora organicistica utilizzata dal capo dello Stato nasce dall’inveterata idea secondo cui la nazione sarebbe come un corpo in cui ogni organo concorre al buon funzionamento dell’insieme. Alcuni potrebbero dedurne che destra e sinistra, lungi dall’escludersi vicendevolmente, come in una normale alternanza, sarebbero destinate a vivere in una sorta di perenne connubio bipartisan, come i due occhi di una stessa testa o le due braccia di un tronco. Più che opporsi esse si compenserebbero. Non che tale concezione manchi di (non sempre nobili) ascendenti. A ben guardare, il cosiddetto “corporativismo”, prima di approdare al fascismo, comincia col famoso apologo di un senatore dell’antica Roma che persuade i plebei in esodo sul Monte Sacro a tornare a rifocillare i patrizi per il bene di tutti. Alimentare il ventre, sentenziò Menenio Agrippa, non significa forse sostentare l’intero corpo, braccia comprese?
Diciamocelo una volta per tutte: qualora prese alla lettera, le metafore più innocenti si rivelano rovinose. Si comincia col metabolizzare le ingiustizie sociali e si finisce per confondere… i colli. Capita così di partire in cordata per il Quirinale, immaginandosi un destino presidenziale, e di approdare un bel giorno sul Monte Sacro, meta di piazzisti e imbonitori da fiera.
(Achab)