Carige/2 – Solo la voce di Sansa nel silenzio dei big
Per dire lo stato di prostrazione, morale e poi politica, in cui versa la città, basta il silenzio imbarazzato, anzi timoroso (al Sud sarebbe automaticamente omertoso) che ha fatto seguito all’inchiesta del Corriere della Sera sulle manovre poco trasparenti dei vertici Carige. La massimo istituzione economico-finanziaria di Genova, cassaforte dei risparmi dei genovesi, accusata da un’inchiesta del Corriere di essere in affari con uno spregiudicato (e pregiudicato) faccendiere internazionale, di fiancheggiare i “furbetti del quartierino” in accordo col governatore Fazio e il fido Grillo, di nepotismo e di discutibili vocazioni immobiliari, non sembra una notizia tanto normale, come farebbe pensare la mancanza di qualsiasi reazione da destra e da sinistra. Né il sindaco, né il presidente della Regione e della Provincia hanno voluto azzardare un commento, una parola.
Prudenza, attendismo o assuefazione a un costume per cui il denaro ha mano libera e non tollera censure moraliste? Il fatto che la procura abbia aperto un fascicolo è una conferma ulteriore che tocca ai giudici surrogare l’assenza della politica.
La sola voce venuta a rompere il mutismo della scena pubblica è stata quella di Adriano Sansa, sindaco eletto nel ’93 dai cittadini e cinque anni dopo non confermato dai partiti, per la sua “eccessiva” autonomia rispetto ai poteri forti. Oggi è presidente del tribunale dei minori, fuori da ogni mischia, ma in un’intervista a Franco Manzitti (Repubblica-Lavoro, 25 ottobre) non tace la sua preoccupata amarezza. Lo scandalo Carige? “Genova deve fare sentire la sua voce, questa è una grande occasione per capire se in città ci sono veri amministratori di banche, enti e istituzioni pubbliche, o padroni che decidono per tutti…” Condivide le riflessioni profonde di don Balletto sull’assenza di cultura nella politica locale, ma va oltre: “Se non si vuole finire male occorre anzittutto un’idea di città e un patto morale che impegni a garantire ovunque la vivibilità, invertire la sciatteria, l’abbandono.” Invece “nella sinistra sembra imporsi un’area immobiliarista che impone in dominio del mattone e sradica perfino la storia”.
La sua schiettezza, non meno dura dei suoi giudizi sul balletto dei tre candidati sindaci per il fronte ulivista, all’insegna del facciamoci del male, toglie ogni possibile dubbio, qualora ne fossero rimasti, sul perché il giudice-sindaco non era in sintonia con vertici politici e economici, quelli che decidono per tutti noi.
(Camillo Arcuri)