Edilizia – I mostri che popolano l’entroterra
Bene ha fatto il Soprintendente arch. Rossini a richiamare con forza i rischi di cementificazione che corre la riviera ligure, già di per sé abbastanza “lebbrosa” per dirla con il poeta Guerrini, e a mettere in guardia coloro ai quali compete la difesa del territorio, ma la nostra Regione è esposta ad altri rischi che nessun piano regolatore scongiura, disciplinando i Comuni solo il rispetto delle cubature, non la tipologia delle costruzioni, specie di quelle fuori dei centri storici. Abbiamo visto così sorgere nelle campagne ogni genere di obbrobrio, quando una progettazione edile di qualità, cioè attenta alle tipologie esistenti, ai materiali da costruzione, variabili in Liguria da zona a zona, avrebbe potuto esercitare una funzione di controllo e di difesa del paesaggio.
Le case finto svizzere, le palazzine di zucchero, gli chalet di legno, i poggioli che diventano verande, le villette col tetto a dente, le recinzioni in cemento o in ferro che n on chiudono niente, sono sorte ovunque e sono veri e propri mostri edilizi, avulsi dal paesaggio e dal contesto ambientale che le ospita. Se i piani regolatori dei comuni prevedessero, per esempio, la concessione della licenza subordinata al colore degli intonaci, che non può essere sempre il bianco, tipico se mai delle costruzioni mediterranee, ma deve essere scelto caso per caso in rapporto al contesto e all’impatto ambientale e alle tipologie preesistenti; se si fossero messe al bando tempestivamente le coperture in tegole di cemento variamente colorate, che appesantiscono i tetti e dopo un po’ d’anni sbiadiscono lasciando trasparire la materia sottostante, con effetto sgradevole; se non fossero state usate tapparelle avvolgibili, al posto delle tradizionali persiane; se i Comuni avessero dichiarato fuori regola gli infissi e le porte in PVC, facilmente sostituibili da usci in ferro dipinto di verde o del colore del legno, meno ferite irrimediabili sarebbero state inferte al paesaggio.
Basta varcare la frontiera di Ventimiglia e inoltrarsi nel territorio francese, per verificare come i nostri vicini di casa, che pure sono “levantini” come noi, hanno costruito secondo moduli coerenti e tradizionali, evitando l’importazione di modelli estranei alla loro cultura. Chi viaggia invece nelle nostre valli deve subire l’impatto con ogni genere di bruttura e talvolta con l’innesto forzato, in contesti urbani dove le murature in pietra vista e i colori grigi dovevano essere di guida e orientamento, di muri bianchi come il latte, persiane avvolgibili che rendono le case come cieche, perline nel sottotetto, porte in PVC, decorazioni in metallo e altre bellezze di questo genere, prodotte dal maneggio disinvolto della fiamma ossidrica e del Black&decker che fanno più danni della grandine. Non si può certo pretendere da costruttori privi di identità, di cultura, e di un minimo di buon gusto l’adeguamento delle loro costruzioni alla tipologia perfettamen te inserita nel contesto ambientale della casa contadina appenninica, ma le commissioni edilizie dei comuni che cosa ci stanno a fare, e soprattutto da chi sono costituite, se non riescono a leggere un aborto annunciato sui progetti sottoposti al loro giudizio? L’Enel e la Telecom con la fungaia di pali in cemento o rivestiti in alluminio, anche in zone di pregio abitativo, quando i cavi si potrebbero facilmente interrare, fanno il resto. I mostri edilizi sono dunque tra noi, ma pochi li vedono, perché ci stiamo abituando al veleno.
(Giovanni Meriana)