Cinema – Ma storia e politica non sono un giallo
Tutto comincia sott’acqua con una soggettiva lenta che smuove limo e vegetazione palustre: no non siamo più nel varietà che annuncia le deglutizioni laboriose dell’ultimo anaconda di servizio, ma all’inizio di Arrivederci amore ciao, il cui regista Michele Soavi, non dimentichiamolo, è stato a bottega dall’artigiano dell’emoglobina casereccia Dario Argento. Ma perché cominciare nella giungla tropicale un film destinato, se non a scoperchiare, almeno ad aprire uno spiraglio “anacondizzato” sugli ineffabili anni settanta in Italia?
La risposta non viene dal caimano sventrato sbattuto a riva che svela la prospettiva dell’apnea iniziale, ma dal notiziario radio che segue: è la fine del muro di Berlino, recita in spagnolo il comunicato.
Solo che la fine del vecchio mondo scatena la belva anziché placarla. Giorgino (l’esule italiano) può così sopprimere a freddo, per conto di una non meglio identificata organizzazione guerrigliera subandina presso la quale trascorre la sua quarantena da rifugiato, il connazionale compagno di lotta e di sventura che lo sta radendo. La tappa successiva è Parigi, zona di transito obbligata in cui ricattare l’ex (riabilitato) di turno, al fine di garantirsi un indolore (o quasi) ritorno in patria. Definitivamente orfano dei “muri” di riferimento, Giorgino passa così dal patteggiamento alla delazione, previa conoscenza d’un commissario di polizia fuorviato, interpretato da Michele Placido. In seguito il nostro preparerà col poliziotto-gangster la rapina del secolo con l’attiva partecipazione di residui ustascia e schegge di terrorismo rosso spagnolo (fianco a fianco in una calcolata confusione e regolarmente liquidati a missione compiuta).
Ci avviamo così fiduciosi verso l’epilogo di questa resistibile storia d’abiezione. Avendo sposato una “midinette” in odore d’Azione cattolica alla quale ha stragiurato di non essere più comunista (ciò di cui lo spettatore non dubita un solo istante), Giorgio non riesce a nasconderle l’ultimo peccato di gola: l’eliminazione del poliziotto complice. Messo di fronte al rischio di vedersi denunciato dall’inflessibile consorte, l’ex-terrorista esegue l’ennesima sentenza: exit (al veleno e sulle note di “Insieme a te non ci sto più” di Caterina Caselli) la crocerossina dell’improbabile riscatto.
Perché prendersela con un film senza pretese che, in fondo, non intende nemmeno trattare sul serio il problema delle ombre lunghe di quegli anni? Perché oggi – con film quali Romanzo criminale e Arrivederci amore ciao e con la consanguinea profusione di romanzi gialli “impegnati” – tira aria di “thriller politico”. A ben guardare, il “trend” non consiste tanto nel pretendere di fare storia o politica attraverso un thriller, quanto nel fare come se storia e politica fossero un thriller, cioé un’opposizione fra gesticolazioni spettacolarmente incapaci di centrare la fibra politica degli eventi.
In questa giungla diffusa in cui un “diritto” vale l’altro, vige inoltre uno stato d’emergenza permanente in cui le diverse forme di sopruso fanno a gara nell’annullarsi a vicenda in nome di un agognato, impossibile richiamo all’ordine, inteso come male minore e necessario. È quanto succede in questo film, in cui la metafora polivalente del predatore sventrato (l’arenarsi del socialismo prussianamente amministrato? La fine annunciata del terrorismo e delle annesse trame?) assume retrospettivamente dei contorni rassicuranti di fronte allo scatenamento della violenza cieca degli “orfani del mito”.
Certo, sarebbe ingiusto affermare che Arrivederci amore ciao presenta il passato comunista come la storia d’un crimine degno di un più gettonato “libro nero”. In un flash-back volto a stemperare le facilonerie manichee, vediamo il protagonista da giovane mentre commette un attentato e, a rischio della propria vita, tenta di salvare il metronotte che soccombe nell’esplosione. No, questo film non sentenzia che i comunisti, ex compresi, sono belve che, se non divorano i bambini, è solo perché hanno già provveduto a sopprimere le mogli… Esso decreta piuttosto che politica ed etica sono due mondi irrimediabilmente estranei l’uno all’altro e che la redenzione può venire solo da un gesto individuale, asociale quanto vano, di resipiscenza. In una Babele in cui i poliziotti diventano rapinatori e i fascisti balcanici si alleano con i comunisti iberici, Arrivederci amore ciao sembra suggerire che tutto (comunismo da caserma, ma anche, perché no, fossilizzazioni ide ntitarie e contrapposizioni di assi e civiltà più consone ai tempi) vale a scongiurare il rischio di un’autentica traversata della storia recente, magari in apnea, ma senza adottare la prospettiva del caimano.
(Achab)