Diverso parere – A interpretare il Papa ci pensa Cacciari

Ancorché recentemente replicantesi, a mo’ di pendant, in un fratello ribelle, come un bel cigno barbuto in un brutto anatroccolo, Massimo Cacciari coltiva da tempo un’arte unica nel suo genere: quella di fingere d’imparare tutto, ma proprio tutto, dal nemico. Ciò, beninteso, per dissuaderci da questo pericoloso esercizio di equilibrismo mimetico. Il problema è che egli interpreta così bene la parte che talvolta lo si prende sul serio. Ma procediamo con ordine.


Dopo avere invecchiato precocemente intere compagini d’adolescenti affiliati d’ufficio alla fatale disillusione del “negativo”, Cacciari è passato agli esercizi pratici, traducendo in politica, con innegabili successi, i giochi linguistici di Wittgenstein e altri guardianaggi dell’essere. Il tutto mantenendo un indirizzo di sinistra, vissuto per lo più come un fardello ingombrante atto comunque a spiazzare la critica, perché, da perfetto imitatore, il Cacciari non è mai là dove appare.
Coscienti dell’impossibilità del compito che ci siamo prefissi (ché ogni appunto mosso ad un tale mutante non può che ritorcersi perfidamente contro chi lo formula), vorremmo nondimeno indicarne alcuni eccessi di virtuosismo, sperando magari di convincerlo ad abbandonare temporaneamente una postura certo simulata, ma purtuttavia suicida. Cominciando dagli scivoloni più cronologicamente remoti, si va dall’encomio, prontamente ritrattato man mano che si delineava il naufragio del 2001, dell’incomparabile ” decisore ” D’Alema preferito allo scarsamente schmittiano Prodi, ai cauti ammiccamenti al presidenzialismo à la Fini. In una recente intervista su Repubblica, inoltre, l’attento entomologo della Krisis non esita a sferzare una sinistra cronicamente incapace di parlare alla neoborghesia (chissà perché) del Nord-est. Quella, per intenderci, che ha trasformato un’enclave palladiana di campi da gioco e oratori in una fabbrica diffusa, a meno che non si tratti dei pionieri del le franchising e dei leasing magnificati dalla tracotanza commerciale delle ” pubblicità-progresso ” di Oliviero Toscani…
Ultimo in ordine di tempo, l’omaggio reso, sempre dalle colonne di Repubblica dell’11 settembre, a Papa Ratzinger. Avendo il vescovo di Roma sentenziato nella nativa Baviera che ” l’Islam sente come un nemico l’Occidente sordo che oscura Dio “, Cacciari, prese le debite distanze (che stia cominciando a fare sul serio?), plaude in fine al messaggio dell’autorevole interlocutore in nome della critica dell’indifferenza, sinonimo di ” vero anticristo “. Ci sia permesso di obbiettare che, nella sua critica del relativismo, Benedetto XVI non preconizza il risveglio delle coscienze a fronte di inaccettabili sperequazioni strutturali, ma propone, più tradizionalmente, di ” riscoprire Dio nelle scuole ” e di associare (con ben noto tempismo etnocentrico) assistenza ed evangelizzazione degli oppressi. Non pago di violare l’imprescindibile spartiacque moderno fra religione ed etica politica, il Papa, riducendo il presente al conflitto fra un Occidente desacralizzato e un resto del m ondo o quasi (Islam, Buddismo, Induismo) “in cui il sacro è intrecciato al quotidiano”, fornisce inoltre un’involontaria legittimazione ex cathedra agli integralismi di ogni sorta, in nome dell’ultima, solidale resa dei conti fra i credenti e i senza-dio (ecco perché Ratzinger ha rettificato il tiro riesumando il più collaudato gergo antislamico).
Certo, a ben leggere (ma proprio fra le righe), Cacciari queste cose le avverte. Da acuto esegeta di Max Weber, egli è cosciente del fatto che ” il processo di ateizzazione ” accompagna da sempre l’orizzonte del cristianesimo. A detta sua, anche il Papa sarebbe, volens nolens, consapevolmente partecipe di questo non del tutto mesto destino. Ma ecco che, sul più bello, quando cioé, a rischio di una bolla pontificia, si tratterebbe di fare alcuni non proprio gratuiti distinguo, il nostro si sottrae con mossa sgusciante alla presa. “Sarebbe un po’ lungo da spiegare”, egli premette, “ma secondo la teologia islamica l’ateismo è insito nella rivelazione della cristianità. Dipende dal dogma della reincarnazione (sic)”. Possiamo tranquillamente far credito a Cacciari di competenze teologiche largamente sufficienti a distinguere il dogma dell’incarnazione dalla più ancestrale credenza nella reincarnazione. Eppure non resistiamo alla tentazione di approfittare del più che probabile refuso protesco per formulare un modesto augurio: che il Cacciari, nella sua reincarnazione prossima ventura, su Repubblica o altrove, smetta di mimare, per finta o per davvero, il contendente ideologico. Egli eviterebbe così di dare l’impressione, frutto d’illusione ottica eppure persistente, di volere a tutti i costi surfare sulla storia in nome di una fantomatica astuzia della ragione garante dei riciglaggi (detti anche “sdoganamenti”) più spericolati. Dall’avversario, per quanto insigne, non si può imparare proprio tutto, Cacciari si rassegni.
(Achab)