Informazione – Il bello della diretta è finito alla Rai

Tg e gr Rai -diciamolo francamente- non hanno mai offerto un grande esempio di informazione autonoma e indipendente. Ma lo stato di penosa soggezione in cui il servizio pubblico è stato ridotto nell’era Berlusconi, costituisce motivo di legittima preoccupazione per tutti, non solo per gli addetti ai lavori. Ultimo sintomo conclamato del suo ingiustificato rapporto di sudditanza verso “l’editore di riferimento” e non solo, sono gli ossessivi siparietti di politici che stanno ormai ridicolizzando il telegiornale della rete ammiraglia e giù a seguire. Non c’è tema di discussione in corso -missione in Libano, indulto, finanziaria, Tav, fino ai meno ponderosi- che non richieda una passerella di faccioni e pareri di cui nessuno sente il minimo bisogno, salvo la smania di visibilità dell’interessato.


Se giornalismo significa trasmettere notizie, cose nuove, interessanti, ciò che il pubblico vuol sapere, offrendo un prodotto possibilmente vivo e vivace, il suo contrario sono le immancabili esternazioni scontate dei Bondi, Schifani, Capezzone, Pecoraro Scanio, che presi una tantum potrebbero essere perfino tollerabili, ma tutti insieme e di continuo portano inevitabilmente al rigetto. Alzi la mano chi non ha mai usato l’arma del telecomando durante le irritanti passerelle.
Ora, nessuno pensa che la colpa di un simile andazzo sia sempre, comunque e solo del cavalier bellachioma (per dirla con Travaglio): lui ha fatto certo la sua parte, con le epurazioni di Biagi e Santoro (colpirne due per educarle cento), ma il malanno nasce prima e continua anche dopo la sua discesa agli inferi della minoranza. Al germe dell’insicurezza, insinuato nelle redazioni, per cui i più considerano buona regola limitarsi al tran tran, si aggiunge la progressiva burocratizzazione dell’apparato: squadre di tecnici e giornalisti ormai impossibili da reperire per i servizi esterni, si è affermato un sistema volutamente paralizzante, che ha allontanato sempre di più la Rai dalla realtà non ufficiale. Insomma “il bello della diretta” è finito da tempo, insieme alle scomode rubriche di vera cronaca.
Ma rimediare a queste debolezze strutturali che impediscono alla Rai-Tv di fare il suo vero mestiere, interessa? E a chi? Certo non corrisponde agli interessi di bottega dei leaderini mandati ripetutamente in video da un giornalismo precotto che non va più a vedere che cosa succede e si accontenta delle immagini di repertorio (sempre le stesse) per illustrare i soffietti dei press-agent. E’ questa la vera sfida che, dopo i primi cento giorni, dovrà affrontare il governo Prodi: resuscitare la Rai, ridarle vita, mordente, magari aggressività.
Maggiordomi e pupe scosciate servono ad altro, non all’informazione.
(Camillo Arcuri)