Lettera – Al carcere di Chiavari L’ora d’amore
L’ora d’amore, uno spettacolo di Teatro Forum, scritto ed interpretato da alcuni detenuti di questo istituto per la regia della dott. Alessandra Vannucci, andato in scena il 30 giugno, ha riaperto lo spinoso dibattito dell’affettività in carcere, intesa, non solo, come diritto della persona reclusa all’intimità con il proprio partner, ma anche con i propri figli, genitori.
Scendendo nel dettaglio gli attori hanno raccontato, anche in modo apparentemente spiritoso e simpatico, ma in realtà poetico e amaro, le vicende di un uomo e una donna che dopo essersi sposati in carcere non riescono a incontrasi ed a dare corso ad una vita intima. Neppure lo scambio di effusioni e tenerezze minime gli viene concesso e perciò la privazione li porta a risoluzioni estreme, quasi oniriche.
Al termine dello spettacolo è stato aperto il dibattito con il pubblico, tra cui figuravano quasi tutti i detenuti di questa casa circondariale, il magistrato di sorveglianza, i politici locali, provinciali, il volontariato, Caritas, il cappellano, il Sert (Servizio Tossicodipendenze) e i rappresentati della commissione provinciale carcere, patrocinatori dell’iniziativa. Tutto il pubblico è stato invito ad offrire soluzioni alternative per realizzare il desiderio negato ai protagonisti dello spettacolo.
Degno di nota è il “decalogo delle buone pratiche” votato dagli spettatori, detenuti e pubblico invitato esterno e attori. In breve le proposte più rilevanti:
1) moltiplicare e incrementare le occasioni di comunicazioni tra dentro e fuori le mura detentive in modo partecipativo e propositivo e democratico, per esempio tramite teatro, perché siano divulgati bisogni ed desideri dei delle persone detenute e anche di coloro che lavorano con l’istituzione penitenziaria;
2) dedicare spazi appositi, dentro gli istituti, anche in via sperimentale, per la cura e la manutenzione degli affetti, come le aree verdi, dove il detenuti possano invitare i propri famigliari o case alloggio per rivivere la vita intima e affettiva/famigliare;
3) facilitare l’incontro costante dei reclusi con i famigliari in senso ampio come esercizio della paternità e della vita di coppia poiché gli affetti duraturi sono perni essenziali del processo riabilitativo e di responsabilizzazione.
(Maria Milano, direttore casa circondariale di Chiavari)