Referendum/3 – Pacciardi “vittima” della Costituzione
In tempi di buonismo spinto, di prevedibili concessioni di grazie (neanche richieste) e di possibili amnistie o indulti (da cui non solo i poveri cristi sperano di trarre qualche beneficio), anche gli storici pretendono la loro parte.
In quest’ottica strabica sembrava a tutta prima di poter leggere l’inopinata istanza di riabilitazione avanzata per Randolfo Pacciardi: personaggio con un passato di combattente antifranchista in Spagna, finito per allearsi con fascisti e cospiratori vari in nome dell’anticomunismo, e assurto negli anni ’60 ad antesignano del golpismo nostrano col suo movimento per la “Nuova Repubblica” di tipo presidenziale.
A distanza di tanti anni, chi si ricorda della condanna all’esilio politico in patria, subita da Pacciardi, è Dino Cofrancesco, notista del Secolo XIX , che però non si limita ad augurarsi che qualcuno renda alfine giustizia a “una delle più luminose figure della resistenza europea”: in questo senso potrebbe sostenerlo Gianni Baget Bozzo che del repubblicano mangiapreti fu in gioventù fido scudiero. Scopo della riesumazione in realtà è ben altro: è quello di indicare Pacciardi come il precursore, il simbolo, l’eroe insomma di tutti coloro che non ritengono intoccabile la Costituzione e tantomeno la considerano “la più avanzata e progressista del mondo”, secondo la definizione del neo presidente della Camera.
Insomma Cofrancesco scende in campo sul prossimo referendum e, quale docente di storia del pensiero politico, sfodera a sostegno del sì un argomento non proprio inoppugnabile. Attenzione -precisa- i partigiani non furono più di 50.000, cifra avanzata da Parri, per cui non si giustifica il valore fondante dell’antifascismo. Tesi debole per uno del mestiere, visto che la resistenza armata fu espressione di un sentire popolare ben più diffuso; come a suo tempo accadde col Risorgimento che non fu guerra di popolo, ma moto di un’elite: a meno che il professore non ripudi anche il valore unitario, come Bossi e soci, quelli che hanno la franchezza di dichiararsi per la secessione senza tante perifrasi; brutalmente, per i dané.
(Camillo Arcuri)