Voci di dentro/1 – Marassi simbolo dell’ingiustizia
C’è un mondo che ignoriamo, ma che è la sintesi dell’ ingiustizia del mondo. Il carcere di Marassi ben rappresenta il sistema penitenziario, tranne per una particolarità: contiene molti più stranieri delle altre carceri. Attualmente sono oltre il 55% del totale, e il trend è in continua ascesa. Ne parliamo con Enzo Paradiso, criminologo, cominciando dalla questione attuale di una possibile amnistia.
Il suo parere è favorevole: l’amnistia va concessa perché le carceri scoppiano. A Marassi i detenuti sono circa 800, il doppio di quanti dovrebbe e potrebbe contenerne. L’obiezione è ovvia: è giusto premiare persone condannate per aver commesso dei reati? Rimetterli in libertà non in base a una motivazione collegata alle finalità dell’istituzione carceraria (protezione della società da individui pericolosi, rieducazione degli stessi), bensì per ragioni puramente organizzative ed economiche?
L’interlocutore condivide l’obiezione, ma rilancia. L’amnistia, in effetti, non andrebbe neppure data per rimediare all’affollamento delle carceri, ma per attenuare una grande ingiustizia: l’esistenza stessa del carcere. A voler essere giusti, il carcere andrebbe abolito. Con due sole eccezioni: per la criminalità organizzata, e per chi volontariamente ha ucciso. L’assassino ha infranto il più grande tabù, così facendo è diventato una persona particolare, pericolosa. La sua rieducazione è possibile, ma finché non è compiuta deve essere isolato dalla società.
Tutti gli altri vanno assistiti e curati. Il carcere, come luogo di detenzione per qualunque reato penale, va abolito, come sono stati aboliti i manicomi.
A Marassi ci sono solo reietti, stranieri clandestini, persone abbandonate, tossicodipendenti o con problemi psichiatrici. Chiunque abbia una famiglia, dei conoscenti, una possibilità di lavoro, insomma una posizione anche minima nella società, non resta in carcere, usufruisce di pene alternative.
Quasi tutti i detenuti sono condannati (o in attesa di giudizio) per piccolo spaccio. O reati connessi. Per tutti costoro, il carcere non è né un deterrente a reiterare il reato, né un luogo di rieducazione e reinserimento nella società. Per lo più si tratta di persone sole, che quando escono dal carcere per termine della pena, con le loro poche cose nel sacchetto nero dell’immondizia, non hanno neppure i soldi per comprarsi il biglietto dell’autobus. Moltissimi sono ammalati, di patologie anche gravi, come AIDS, epatiti ecc.
L’argomento è molto vasto, val la pena di continuare a parlarne. Concludiamo questa prima parte con le parole di Enzo Paradiso pubblicate su “Area di servizio” (Rivista trimestrale a cura della Cooperativa Sociale “Il Biscione”, p. 1): “Per chi è costretto a viverci, per chi ci lavora e per chi presta opera di volontariato è molto evidente che la realtà penitenziaria, vista dal di dentro, è un mondo a sé. Il pianeta carcere racchiude, concentra ed esaspera le aree problematiche e le contraddizioni più vistose della società: l’immigrazione, la tossicodipendenza, la salute, la povertà, la sofferenza mentale”.
(A cura di Pino Cosentino)