Quote rosa/1 – Fisiologia politica di una petizione

Pare che i paleontologi ricostruiscano, a partire da un frammento di osso, l’intero scheletro di animali estinti.
Anche noi ci siamo cimentati in un simile esercizio, osservando e analizzando una piccola nota di poche righe apparsa il 16 maggio scorso su “Repubblica-Lavoro”. Si tratta dell’intervento di Manuela Arata, Democratici, l’altra metà del cielo.


In esso l’autrice propone “che l’associazione [per il Partito Democratico] adotti in tutti i suoi organismi la regola della parità: 50% maschi e 50% femmine”. Naturalmente, “senza tentennamenti” (versione attenuata dell’estremistico “senza se e senza ma”, ma sufficiente a dimostrare che anche le donne sanno dare prova di quella virile fermezza che le rende senz’altro idonee a ricoprire incarichi ingiustamente ritenuti tipicamente maschili).
A una prima lettura ho provato un leggero senso di spaesamento. Abituato a prendere sul serio la democrazia, leggendo l’espressione “in tutti i suoi organismi” ho subito pensato all’assemblea dei soci (o iscritti, o come diavolo si chiamano gli aderenti all’associazione). Come farà l’associazione a garantire una presenza paritaria maschi-femmine nella sua assemblea, il che presuppone una composizione degli iscritti esattamente paritaria? I maschi eventualmente eccedenti saranno espulsi?
Dopo qualche attimo sono tornato con i piedi per terra. Che sciocco! Cosa mi è venuto in mente?! Gli iscritti non contano nulla! In qualunque associazione, o partito, conta solo l’élite dominante! Quelli sono “gli organismi”! E’ lì che l’Arata vuole la parificazione riparatrice. L’assemblea, in teoria depositaria della sovranità, come nella Repubblica la platea elettorale, non è un “organismo”, al massimo possiamo considerarla un accessorio, che so, un paio di scarpe, una cravatta…
Il mio stesso spaesamento dev’essere capitato anche a Manuela Arata. Ma anche per lei è stato un attimo. “Democratico lo sarà davvero [il partito] se riuscirà a coinvolgere di più i cittadini nelle scelte”. La retorica partecipativa (anche il McDonald è partecipativo, i clienti sono perfino liberi di scegliere dal menu la consumazione preferita) ha rimesso subito le cose a posto. Subito, prima che il cervello rischiasse di svegliarsi.
Ma c’è ancora un ossicino. Un’altra proposta. In chiusura, a guidare la neonata associazione, oltre al Comitato Esecutivo composto di trentenni, e al Comitato di Presidenza, composto di “vecchi” con grande esperienza politica, la Nostra chiede un Comitato Scientifico di esperti. “Esperti magari 40-50enni. Così forse tocca un po’ anche a noi?”
A chi è rivolta la richiesta? Essa ormai, pateticamente là dove vorrebbe essere ironica, non appare più proposta, ma petizione, come quelle che era uso rivolgere un tempo “rispettosamente” alle “superiori Autorità”. Coscientemente o no, si indirizza a quel potere, che ormai abita dovunque solo in alto, non perché vi sia giunto per delega popolare, ma perché ormai lì, e solo lì, nasce, si forma, si radica, e scende alle moltitudini, piccole (le “basi” dei partiti ecc.) o grandi (l’insieme della popolazione), paterno o feroce, ma sempre estraneo e nemico.
In un piccolo frammento abbiamo letto l’intera fisiologia politica della nostra società.
(Pino Cosentino)