Sicurezza – Perché gli immigrati si infortunano di più

“Un minuto per te” è il titolo della campagna di informazione promossa da INAIL e CGIL CISL UIL sulla sicurezza del lavoro per i lavoratori immigrati presentata l’11 maggio in un convegno. L’articolo del Secolo XIX del 12 maggio riporta con diligenza i dati sull’aumento degli infortuni dei lavoratori immigrati, ma omette le osservazioni più importanti espresse nell’incontro.


Ad esempio che siamo stati noi, collettivamente intesi, a fabbricare con le nostre mani il fenomeno su cui ora organizziamo convegni: cioè quello di una (lenta) diminuzione degli infortuni tra gli italiani, e di una contemporanea (forte) crescita degli infortuni tra gli immigrati. Gli interventi indicano i mattoni di questa fabbrica: una legislazione che lega indissolubilmente contratto e permesso di soggiorno, l’assenza di una politica occupazionale sulla immigrazione e il totale affidarsi alla “spontaneità” del mercato, una economia di cui il lavoro nero è parte significativa e integrante. Ci stiamo adagiando, viene detto, su una comoda (per il momento) segregazione occupazionale che confina gli immigrati – quali che siano le loro competenze – nei settori meno protetti e più esposti ai rischi, ma questa separazione sempre più strutturale diventerà, in prospettiva, socialmente destabilizzante.
Politica ed opinione pubblica, viene detto da Giuliano Carlini, continuano a trattare l’immigrazione come un fenomeno transitorio, paiono non accorgersi che si tratta di un fatto definitivo che ci riguarderà per i prossimi 1000 anni e oltre, e continuano a trincerarsi dietro alle difficoltà che nascono dalle differenze di culture, senza rendersi conto che gran parte degli immigrati condivide con noi la cultura delle grandi aree urbane, e che il fenomeno migratorio si svolge all’interno di un processo di modificazione della cultura mondiale in cui siamo tutti immersi.
D’accordo, a un articolo non si può chiedere di diventare gli atti di un convegno, ma di dare conto della complessità di una analisi, questo sì. Altrimenti, tanto vale leggersi la free press.
(Paola Pierantoni)