Scoperte – Medici senza frontiere all’opera in Italia
Vicino alla giostra, fra cavallucci, carrozze e il battello per Camogli e San Fruttuoso, i turisti del conclamato “ultimo weekend” di primavera si sono scontrati con la riproduzione di un campo profughi voluta da Medici senza frontiere (www.msf.it).
La “mostra” (ma si può definire tale?) ha lo scopo di sensibilizzare i nostri animi assopiti, di farci comprendere come vivono (spesso una lunga vita: ci sono campi in cui si staziona a lungo) 33 milioni di essere umani, dislocati in Europa, Asia, Africa, America meridionale.
Gli oggetti che si trovano dentro e fuori le tende provengono da quei campi e ci ricordano come la guerra sia anche un momento di “creatività”, di dimostrazione della voglia di vita e normalità: giochi costruiti con latte, fili metallici, pezzi di infradito (un defender); e poi strumenti musicali e sandali realizzati con i pneumatici dei camion.
La giovane ragazza bionda che ci accompagna spiega con dovizia di particolari qual è la mission di MSF e come si muova una volta costruito un campo (ossia: sistemate le tende, stabiliti i luoghi deputati alla salute, all’acqua, al cibo ed ai bisogni fisiologici…). Sovraffollamento, assenza di privacy, in molti casi difficoltà per le donne a spostarsi sole all’interno del campo, sono alcuni dei problemi che il personale deve risolvere cercando un punto di contatto fra la cultura e la sopravvivenza della popolazione; poi ci sono malnutrizione e malattie (malaria, colera, HIV) e l’inevitabile battaglia per l’accesso ai farmaci che MSF sta combattendo contro le multinazionali (guarire non è un diritto per tutti).
Certo la presenza di MSF nelle zone di conflitto non meraviglia. Ma in Italia? Un piccolo opuscolo, con foto e testimonianze, racconta la vita degli immigrati che lavorano come stagionali nel sud Italia, spostandosi a seconda del raccolto, dalla Campania alla Calabria, dalla Puglia alla Sicilia (il rapporto completo sulla condizione dei lavoratori stagionali è stato pubblicato nel maggio del 2005 dalla casa editrice Sinnos, con il titolo: “I frutti dell’ipocrisia, storie di chi l’agricoltura la fa. Di nascosto”).
Persone che vivono spesso in alloggi di fortuna e che, malgrado la giovane età, presentano un quadro clinico reso preoccupante proprio dalle condizioni di lavoro. Molti provengono da zone di conflitto: a loro dovrebbe essere concesso lo “status” di rifugiato che, secondo il diritto internazionale, prevede una serie di garanzie (dal diritto alle cure, a un tetto, fino all’impossibilità dell’espulsione)….ma siamo in Italia e la patente di “rifugiato” diventa una chimera.
(Tania del Sordo)