Banche – Sui bond argentini silenzio stampa
Colpisce il silenzio stampa sul nostro sistema bancario. Silenzio interrotto solo in presenza di provvedimenti dell’autorità giudiziaria che rivelano situazioni, responsabilità e reati incredibili. Allora pagine su pagine, ma solo per qualche giorno; poi torna a prevalere la congiura del silenzio. Ormai, nel Bel Paese, il compito di controllare e difendere il risparmio viene svolto dalla Magistratura, e questo in presenza di un colpevole silenzio della stampa, sia specialistica che informativa, e con assurdi Porta a Porta dove inquisiti in poltrona dissertano sulla buona fede e sui compiti del Governatore della Banca d’Italia e sul risparmio in genere.
Eppure, come tutti hanno potuto constatare attraverso gli atti giudiziari e le denunce della Comunità Europea (costo delle carte di credito) il sistema bancario italiano non brilla in termini di trasparenza, servizio alla clientele e costi.
Ultimo episodio, in ordine di tempo, passato sotto silenzio dalla stampa, è l’invito rivolto dagli istituti di credito ai soli sottoscrittori ancora in possesso di bond argentini, per aderire all’iniziativa ICSID, “organismo internazionale istituito presso la Banca Mondiale per la gestione delle controversie relative ad investimenti effettuati da cittadini di un paese membro nei confronti di un altro paese aderente alla Banca Mondiale”.
Il primo quesito spontaneo è come mai, fino ad oggi, nessuna banca ha menzionato questo trattato bilaterale stipulato tra Italia e Argentina il 22 maggio 1990? Molti cittadini, ignari come sempre, hanno accettato un rimborso irrisorio perdendo l’ottantaquattro per cento del capitale investito a suo tempo, investimento peraltro maturato su suggerimento degli zelanti funzionari bancari che dovevano ridurre il margine di rischio per i loro istituti.
Ma i problemi sussistono anche per coloro che, ancora in possesso dei bond e avendone titolo, aderiranno alla proposta, avanzata, con molta discrezione ai singoli clienti. Infatti si prevede un iter lungo (3 – 5 anni) e viene richiesta una documentazione costosa, corposa, a fronte di una trattativa che se conclusa negativamente toglie la possibilità di far causa alla banca. Occorre infatti presentare: Fotocopia della Carta di identità – Certificato storico di residenza – Certificatio di nascita – Certificato di cittadinanza – Fotocopia del codice fiscale – Certificato INPS o altro ente previdenziale che attesti il numero di previdenza – Fotocopia della scheda elettorale – Altri documenti eventualmente a disposizione.
Ovviamente i certificati (3 per la cronaca) vanno in bollo (€ 16 cadauno) e se il conto deposito è cointestato occorrono per ognuno dei cointestatari con oneri che si sommano alle ingenti perdite già sostenute; e questo non per ottenere un rimborso ma per iniziare una trattativa.
Chissà se documentazione analoga è stata richiesta dall’ex governatore Fazio, alla Banca Popolare di Lodi e all’Unipol prima di autorizzare le recenti e chiacchierate scalate bancarie.
Ma stupisce anche come le grandi banche italiane, con funzionari ligi e burocrati ferrei nei confronti del piccolo risparmiatore, abbiano invece concesso ingenti prestiti sulla parola a Tanzi e soci per la Parmalat. In ogni caso, accortamente e come sempre, hanno trasferito i titoli e le relativi perdite alla propria clientela.
(Vittorio Flick)