Abbiamo sottovalutato come esempio di sottocultura politica l’elogio dell’illegalità, il linguaggio grossolano e finto-colto, i gesti scurrili, le volgarità studiate a tavolino o dal sen fuggite, la ripetizione ossessiva di concetti semplici, banali e triviali, l’assenza pressoché totale di autoironia, di senso critico e di consapevolezza della complessità dei problemi. Abbiamo persino pensato che la televisione – il carattere infimo degli spettacoli d’intrattenimento, addirittura più che l’informazione politica – non avrebbe influito sul nostro carattere, non l’avrebbe corrotto. Abbiamo pensato che le leggi ad personam servissero a togliere lui e i suoi da guai momentanei e che, passato il momento, saremmo tornati alla normalità. Abbiamo pensato tutto questo e ora, ricapitolando gli anni passati, dobbiamo riconoscere che abbiamo sbagliato. Non è sottocultura; è un’altra cultura. Non è la difesa nelle difficoltà, è un sistema che, come tutti i sistemi, a spira a normalizzarsi. Non è democrazia ma è demagogia, un regime insidioso che si nasconde sotto apparenze ingannevoli. Il popolo che si vuole che sia non è quello che sceglie, che decide, che discute, che approva o disapprova, promuove o boccia i suoi rappresentanti. È invece il popolo non che agisce ma che reagisce, non si esprime da sé ma è «sondato».
(Gustavo Zagrebelsky, Micromega, 31 marzo 2006)