Comunicazione – Se nello scontro elettorale decisivo è un “frame”
Perché i conservatori americani hanno tanto successo? Perché gli operai in California, pur capendo che il programma di Schwarzenegger li avrebbe danneggiati, lo hanno eletto Governatore? Come si spiega l’afasia dei democratici? George Lakoff, linguista, discepolo ribelle di Noam Chomsky, ha cercato di offrire delle risposte a queste domande. Il suo libro, “Non pensare all’elefante!”, è diventato un bestseller; ora è uscito anche in Italia (Edizioni Fusi Orari) con la prefazione di Ferruccio De Bortoli. Forse è un po’ tardi per i “consigli alla sinistra per battere la destra”, ma guardare al di là dell’Atlantico potrebbe essere utile.
Lakoff parte da una constatazione lapalissiana e perturbante ad un tempo: non si sceglie il candidato per il programma, ossia per degli interessi, ma in base all’identificazione “con i propri valori e con gli stereotipi culturali che corrispondono a questi valori”; il problema è che, nella maggior parte delle persone, sono attivi modelli culturali contrastanti, e spetta alla politica attivarli. I modelli americani, secondo Lakoff, sono due: il “padre severo” e quello “premuroso”, ed è facile intuire dove si collochino repubblicani e democratici.
Quello che, invece, desta nel lettore italiano stupore e preoccupazione, è la perfetta equivalenza fra le scelte della destra americana ed italiana.
Ecco alcuni esempi. 1994: i conservatori “siglano un contratto con gli americani” (vi viene in mente qualcosa?), Bush parla di “sgravi fiscali”, di “conservatorismo compassionevole”, dell’operazione “cieli puliti”, della campagna “nessun bambino resti indietro”; un linguaggio, scrive Lakoff, che “serve a blandire le persone in cui prevale il modello del padre premuroso, mentre la politica reale è quella del padre severo”. Ma ammettere che i repubblicani siano meglio preparati sul fronte linguistico non basta. La rete tessuta da anni, prevede finanziamenti a centri di ricerche, università: i conservatori, insomma, stanno cercando di plasmare gli USA secondo i loro frame (quadri di riferimento) con un programma d’ampio respiro e a lungo termine. Nulla di tutto ciò riesce ai democratici, sempre a rincorrere e a difendere, ma soprattutto, convinti dell’assoluta evidente “bontà” delle loro posizioni.
E da noi, ora, cosa succede?
Recupero un trafiletto apparso su Internazionale (n°631) dal titolo “Parole”. Si fa riferimento al blog di Luisa Carrada (Il mestiere di scrivere) in cui si confrontano (da un punto di vista linguistico) il programma dell’Unione (281 pagine) e quello della CdL (22 pagine). leggiamo?
“Sei anni fa, quando abbiamo scritto il primo programma della CdL, il mondo era molto diverso da quello in cui ora viviamo. C’erano ancora le torri gemelle e c’era ancora la lira”.
L’Unione: “Servirà una pluralità d’interventi, rivolti ai diversi livelli di governo, con un’azione coordinata e condivisa in grado di monitorare e guidare tutto il processo. Il secondo punto è un’azione di sistema finalizzata al rafforzamento e all’immediata fruibilità dei diversi sistemi informativi”.
Preoccupati?
(Tania del Sordo)