Lavoro – La lezione di Trentin su passato e futuro

Il quarto incontro di “Parole per la città” era dedicato al lavoro, ma ad ascoltare Bruno Trentin di mondo del lavoro (operai, impiegati, sindacalisti) ce ne era pochissimo. Il gruppo dirigente della CGIL era lontano, impegnato al Congresso Nazionale di Rimini, e tutti gli altri, lavoratori e rappresentanti sindacali, erano comunque lontani quanto basta perché la notizia di questo incontro non li raggiungesse o non li invitasse a venire.


Nella sua lezione Trentin insiste molto su quello che lui ritiene debba essere un diritto primario e irrinunciabile dei lavoratori: il diritto alla conoscenza, alla formazione continua. Formazione non solo professionale: Trentin rievoca infatti le 150 ore per il diritto allo studio conquistate dal Contratto Nazionale dei Metalmeccanici del 1973, quelle che permisero a moltissimi lavoratori di conquistare la licenza media ed elementare, e a migliaia di altri di partecipare a cicli di seminari presso le università. Ma la platea che lo ascolta, la solita di “parole per la città”, è la misura di come tutto ciò si sia perduto. Trentin parla di come negli ultimi trent’anni si sia svuotata l’identità collettiva del lavoro, di come il lavoro sembri non essere più una parte essenziale della cittadinanza, di come sembri non essere più al centro della politica.
La storia del sindacalismo italiano, ricorda, è quella di un’esperienza che non ha corrispettivi nel panorama internazionale, perché l’obiettivo era quello di essere un sindacato generale, non organizzato per interessi corporativi, un sindacato che difende l’interesse di tutti i lavoratori, dei più deboli insieme ai più forti. Aggiunge però che questo sindacato generale oggi è in crisi, che è arretrato nel comprendere e nel rapportarsi a una rivoluzione tecnologica di cui non ha colto tutta la portata, che è incapace di offrire una rappresentanza a un mondo del lavoro travolto dall’aberrazione della miriade di lavori precari.
Trentin dice che occorre ribadire la centralità del lavoro subordinato. Insiste sul fatto che, fatta giustizia di tutte le ipocrisie e finzioni, l’80% degli esseri umani lavora in forma comunque subordinata, e che è già ottimistico pensare che il 5 % di questi milioni e milioni di persone sia in qualche modo rappresentato. Ma come immaginare rivendicazioni comuni ai lavoratori ormai dispersi nelle mille forme del lavoro frammentato? Come rispondere alle domande vere di chi si trova nelle situazioni più esposte, ora che le vecchie forme di solidarietà sono andate in crisi?
Domande senza risposta affidate a persone legate tra loro solo da un interesse del tutto individuale per gli argomenti trattati, e che in buona parte il mondo del lavoro se lo sono già lasciato alle spalle o stanno per farlo.
(Paola Pierantoni)