Immigrati. Un caso di ordinaria discriminazione burocratica
X è un ragazzo marocchino, 25 anni, in Italia da quando ne ha 13. Diploma dell’obbligo e titolo di formazione professionale conseguiti a Genova. Poi, per una grave malattia, gli viene riconosciuta una invalidità del 50 % e quattro anni fa viene assunto come invalido da un’azienda genovese.
Nell’autunno 2003 eccoci alla scadenza periodica del permesso di soggiorno: nessun problema sul rinnovo, ma grossissimi problemi rispetto alla continuità dell’assistenza sanitaria. Avviene infatti che al momento di chiedere il nuovo libretto sanitario questo gli viene negato. Deve portare, gli dicono, una dichiarazione del datore di lavoro che attesta che lui davvero lavora lì.
Su cosa è fondata questa richiesta? Sul nulla.
Infatti (L. 189/2002) gli immigrati hanno, come gli italiani, diritto all’assistenza sanitaria sia che lavorino, sia che siano disoccupati. Inoltre (DPR 394/99) gli stranieri, quando occorre, possono fare uso dell’autocertificazione per tutte le fattispecie certificabili da parte di soggetti pubblici o privati italiani.
Il giovane non se la sente di chiedere questa ulteriore attestazione al datore di lavoro (dopo le molte già chieste per il rinnovo del permesso) e resta per tre mesi senza libretto e senza prendere un farmaco anti-epilettico che dovrebbe assumere quotidianamente.
Inizia a sentirsi male e decide di rivolgersi alla CGIL. Segue telefonata alla ASL che insiste (immotivatamente) ad avere almeno l’auto-dichiarazione. Armato della autodichiarazione il ragazzo si ritrova però di fronte una sportellista della ASL che insiste per avere una dichiarazione del datore di lavoro. Questa volta il giovane, più informato sui suoi diritti, fa una’ttiva resistenza. Chiede anche: ma perché mi chiedete questa cosa? Risposta: “perché voi poi non pagate”.
Alla fine la sportellista cede e consegna il libretto sanitario al ragazzo che può andare finalmente in farmacia, ed anche a prenotare la TAC di controllo semestrale.
(Paola Pierantoni)