Il costo della democrazia – Sulla politica pesano sprechi e privilegi

In un paese normalmente responsabile le cronache e lo stesso dibattito politico si occuperebbero a fondo de Il costo della democrazia, materia scomoda che il bel libro di Cesare Salvi e Massimo Villone (Edizioni Mondadori, 2005, pag. 184, euro 16,5), ha il merito di trattare con chiarezza. Da noi fanno notizia altre cose, presunti scandali come Telecom Serbia, che ha tenuto le prime pagine per settimane benché inventato di sana pianta, o le esternazioni su Unipol da parte di Berlusconi che va dai magistrati a riferire cose “prive di rilevanza penale”, quasi fosse al bar e non in procura.


Anche se parlar di cose serie fa venire l’orticaria a più d’uno, val la pena di richiamare alcune verità raccolte nelle pagine di questo libro che comincia con una constatazione amara: il nostro Sud è agli ultimi posti nell’Unione europea, per prodotto interno lordo, livelli di investimento, consumi delle famiglie, percentuali di occupazione, ma risulta in testa alla classifica di quelle spese pubbliche non produttive che sono sinonimo di sprechi, clientele, privilegi. Un esempio viene dalle mini-ambasciate all’estero: sono ben venti le regioni che si sono dotate di una propria sede di rappresentanza a Bruxelles, in palazzotti antichi o sontuosi uffici, con relativo personale, quasi tutto dirigente. Solo la Basilicata non ha sentito il bisogno di un’ambasciata all’Ue. E se la Sicilia ha un altro paio di sedi estere, a Parigi e Tunisi; il primato è della Lombardia, presente in ben 24 città del mondo, comprese Cuba, Pechino e Shangai.
Bruxelles resta comunque la massima vetrina internazionale della grandeur nostrana: gli europarlamentari italiani sono invidiatissimi dai colleghi degli altri paesi, per via del loro faraonico stipendio di 149.215 euro (a parte indennità e spese forfaitaire non documentabili), il più alto di tutti, di tedeschi e inglesi (83.706 e 82.380 rispettivamente), dei francesi (63.093), il doppio di danesi e olandesi (69.762 e 66.872), il triplo di portoghesi e spagnoli (48.285 e 39.463).
Le regioni contribuiscono agli sprechi anche coi propri comportamenti interni: la loro spesa tra il ’99 e il 2004 è cresciuta del 6,4 annuo, contro il 3,4 per cento della pubblica amministrazione; e non si pensi che dipenda dalla sanità, perché – precisa la Corte dei conti – la spesa corrente non sanitaria tra il 2000 e il 2004 è aumentata del 16 per cento. Come? Basti pensare al proliferare di incarichi e consulenze, agli stipendi dei consiglieri ancorati a quelli dei parlamentari (dal 65 al 70 per cento), ai contributi per ogni singolo gruppo, anche se formato da un solo consigliere (in Liguria ci sono ben 6 monogruppi, solo la Lombardia ne ha uno di più), alla crescita a dismisura del numero dei consiglieri regionali, provinciali, comunali, circoscrizionali e di comunità montane, tutti regolarmente a stipendio.
Attenzione – avvertono gli autori – la politica deve avere un costo e va finanziato; diversamente la lasciamo in mano ai paperoni che come sappiamo fanno gli affari loro; però le elezioni non possono diventare un maxiconcorso per un posto nella principale azienda italiana. Il rimedio? Sta nella trasparenza, oggi traducibile in termini pratici, alla portata di tutti (basta volerlo) tramite internet, così che ciascun ente dia conto di come spende le risorse avute dai cittadini. In attesa della svolta tecnologica, al consiglio nazionale Ds del luglio 2005 è stato approvato all’unanimità un documento che richiama gli amministratori del centrosinistra alla sobrietà nonché al rigore politico e amministrativo. Solo che è seguito un miscuglio di silenzio e di stizza. Qualcuno – il libro non precisa se dentro o fuori il partito – è arrivato a definire il documento “comico”. Eppure è questa la nuova questione democratica.
(Camillo Arcuri)