Carige/1 – L’affondazione della trasparenza

Su Repubblica del 19 gennaio (“Una cassaforte chiamata Carige”). Amedeo Amato, docente di Economia politica della locale Facoltà di Economia ha illustrato i criteri con cui viene amministrato il patrimonio della Fondazione (1 miliardo e mezzo di euro a fine 2005!).


Per prima cosa la Fondazione detiene il 43% del capitale della Banca Carige. La legge Ciampi come la recente “legge sul risparmio” prevedono che le fondazioni non superino il 30%? Pazienza. Noi, spiega il professore non abbiamo venduto e abbiamo fatto bene perché ci abbiamo guadagnato; il doppio. Ma la legge? Il professore non ne parla. E il resto del patrimonio? Tutti in azioni della Cassa Depositi e Prestiti, Immobili e Titoli (roba sicura, “indicizzati all’inflazione, italiani e francesi”). Totale 1,5 mld di euro che vuol dire che la Fondazione è il più ricco degli enti genovesi. Una fortuna visto che il suo compito di indirizzo, è quello di ritornare alla società le rendite di una così cospicua immobilizzazione.
E perché dovrebbe farlo? Perché – come recita il sito ufficiale della Fondazione – il primo dicembre 1991 sono nate la Banca CARIGE S.p.A., cui compete l’attività bancaria, e la Fondazione Cassa di Risparmio di Genova e Imperia che, “erede della tradizionale attività benefica del Monte di Pietà” ha il compito, “grazie ad interventi mirati”, di finanziare progetti sociali e culturali di vario tipo. Tanto per dare una idea la cifra disponibile negli ultimi esercizi è di circa una ventina di milioni di € l’anno e alcuni dicono che potrebbe essere molto più alta se non trovasse ostacoli insormontabili nell’attuale Consiglio di amministrazione della Fondazione.
Pazienza, viene comunque da dire. E infatti il valore delle cifre in gioco ha reso pazienti e specialmente silenziosi tutti i rappresentanti delle istituzioni politiche presenti nel Consiglio di Indirizzo della Fondazione. In tempi di vacche magre i contributi della Fondazione sono grasso che cola e sono una buona ragione per tacere sullo scandalo della composizione (e del rinnovo) del Consiglio di Indirizzo e sui gravissimi conflitti di interesse che vi si sono manifestati. Per non dire dello scandalo nello scandalo: che per questo pugno di lenticchie (sia pure ben condite) la politica finge di ignorare come, col suo 43% di Carige – più altre partecipazioni di vario genere – la Fondazione venga usata dalla stessa Carige come strumento di controllo e difesa della stessa banca. In questo modo il gruppo di potere di Carige mantiene un facile (economico!) controllo sulla banca e, non contento di ciò, usa la carota e la frusta della Fondazione per beneficare i propri amici e dare qualche contentino ai propri nemici.
Chi, in nome del “pubblico”, ha osato levare la propria voce contro questo andazzo è stato abbandonato (nel 2004 i consiglieri Balletto, Costa, Loewy e Novaresi dal Comune e dalla Provincia che li avevano nominati) o oscurato (il sen. Longhi che ha presentato varie interrogazioni in merito senza ottenere una solo citazione da un quotidiano locale o dai suoi compagni di partito). Con una lettera pubblicata sul Secolo del 21 gennaio 2006 e ripresa il giorno successivo, ci hanno riprovato – a sorpresa – due personaggi doc: G. Gallanti e L. Montarsolo. Titoli invitanti. “Fondazione Carige Ombre sulle nomine: bando pubblico nomine private”. Anche loro destinati all’oblio?
(Manlio Calegari)