Innovazione e ricerca – Siamo tra Grecia e Botswana
Genova. Un seminario organizzato dalla Cgil Liguria su “Innovazione e ricerca in Liguria: prospettive e strumenti” (28 novembre) e un convegno di Assindustria su “Ricerca e innovazione, motori della competitività” (6 dicembre). Un solo tema a rime incrociate.
Al seminario della Cgil prevale un linguaggio piuttosto esoterico. Emergono “modelli regionali di innovazione”, “filiere delle conoscenze” e la necessità di individuare “settori strategici per lo sviluppo del territorio”. Per primi turismo e floricoltura, dove pare che sia decisivo l’intervento della robotica e delle biotecnologie per arginare la concorrenza estera. Occorre “spostare avanti le frontiere della conoscenza” in un’epoca dove il “prodotto si è smaterializzato”. E’ quindi benvenuta una riforma come quella universitaria orientata “prima a professionalizzare e poi ad approfondire”. Non è dato di sapere quale è l’oggetto. Chi, che cosa.
La parola cultura non viene pronunciata, se non per parlare di identità. C’è chi segnala il pericolo di indefinite iniziative pubbliche o private calate dall’alto. Affiora in più di un intervento il problema del precariato e della sua sostanziale incompatibilità con ogni serio progetto di ricerca. E un gelo pare attraversare la sala quando in un breve intervento, il rettore Bignardi afferma che “tra ricerca e innovazione, tra ricerca di base e ricerca applicata, l’accento deve essere messo sulla ricerca di base”. Una verità ormai sempre più offuscata che contrasta con la strategia dominante in cerca di ritorni di cassa immediati. Chi avrebbe finanziato le ricerche di Galvani sulla contrazione muscolare nella rana? Quale incubatore di imprese avrebbe mai potuto immaginare che le ricerche di Galvani avrebbero aperto dopo un secolo la strada all’era dell’elettricità, alla nostra era? E anche se avesse potuto immaginarlo, che utilità avrebbe attribuito a ritorni così lontani?
Al convegno di Assindustria si è più concreti. Il problema della competitività è posto al centro della discussione. P. Pistorio, vicepresidente della Confindustria, critica una Finanziaria dove “non c’è proprio niente per la ricerca e questo è grave perché aggrava i problemi di competitività dell’Italia” (Secolo XIX, 7 dicembre). In Italia, il rapporto tra imprese e innovazione continua a peggiorare. Il Global Competitiveness Report 205-2006 del World Economic Forum colloca l’Italia al 47esimo posto tra 117 paesi classificati (Corriere Mercantile, 6 dicembre e http://www.weforum.org/). Tanto per intenderci, dopo Giordania e Grecia e subito prima del Botswana. Per capire il perché della nostra remota collocazione, bisogna sapere che all’indice del World Economic Forum contribuiscono componenti macroeconomiche e istituzionali. Quella macroeconomica misura il fatto che in Europa l’Italia è uno dei paesi che meno investe nel settore della ricerca. Quella istituzionale misura l’indipendenza del sistema giudiziario da influenze politiche, la chiarezza con cui la legge garantisce lo svolgimento delle attività finanziarie, la neutralità del governo nella aggiudicazione degli appalti pubblici e la diffusione della criminalità organizzata nelle diverse attività economiche, comprese quelle del settore pubblico.
Due incontri molto diversi e un solo tema sono anche il segnale della preoccupazione che percorre università e industria, enti pubblici e privati sul destino della ricerca in un paese che a meno di cambiare decisamente rotta si avvia inevitabilmente al declino.
Oscar Itzcovich