Erzelli – Technology Village comincia dalle torri
AAA Erzelli garage cercasi. A due giovani ingegneri elettronici appena laureatisi con 110 e lode sconsiglio vivamente di mettere questo annuncio per far fruttare il loro talento. Vorrei ricordargli che William Hewlett e David Packard, fondatori della mitica HP nel 1939, all’inizio della loro avventura nel settore high tech, scelsero a Palo Alto il piccolo garage situato sul retro della casa dove uno di loro abitava con la moglie, perché quel “buco” non costava niente. La stessa casa era stata scelta per il suo basso affitto, pare 45 dollari al mese.
L’HP progredì rapidamente perché avevano sì buone idee, ma soprattutto perché i costi di esercizio erano minimi e perché intorno c’era già un forte tessuto istituzionale (la celebre università di Stanford, l’industria aeronavale alla vigilia della seconda guerra mondiale e anche quella dei media, rappresentata allora quasi esclusivamente dalla californiana Hollywood). Non è casuale che il primo prodotto dell’HP, un oscillatore audio di precisione, servì a Walt Disney nel 1940 per migliorare la sonorizzazione di Fantasia, il primo film a sfruttare la stereofonia nei cartoni animati. Alcuni decenni dopo il vecchio garage sarebbe stato dichiarato monumento nazionale e Palo Alto uno dei tanti luoghi che costellano la favolosa Silicon Valley.
Da noi, si parte non dal garage, ma dal tetto, o meglio dalle torri. Alta tecnologia zeneize. Con l’acquisto di una vasta area sugli Erzelli di proprietà di Aldo Spinelli, un’idea di Carlo Castellano, la firma di Renzo Piano, l’insediamento della Facoltà di Ingegneria e il finanziamento di un consorzio di banche e di aziende pubbliche e private si costruisce Leonardo, il Technology Village. Costo in partenza, 600 milioni di euro. Un grande affare in un’epoca di grandi affari immobiliari. Ma l’idea ha un ampio respiro. “Una città nella città che vivrà di high tech, di ricerca, di industria, ma anche di servizi. Lì, in quella grande spianata di più di trenta ettari liberata dai container, la gente dovrà anche vivere, camminare nel grande parco e muoversi fra negozi e ristoranti. L’esperienza straniera, Sophia Antipolis, Boston, Cambridge, Silicon Valley – spiegava Carlo Castellano sulla Repubblica (10 marzo 2005 ) – dimostra che le imprese tecnologiche si sviluppano dove esiste una possibilità di forti sinergie fra imprese, centri di ricerca pubblici e privati e strutture di formazione universitaria. La mensa, il bar, gli spazi verdi, i luoghi di ricreazione, la stessa presenza di abitazioni e residence costituiscono un unicum, il vero fattore vincente per la vitalità del campus tecnologico”.
La Conferenza dei servizi del Comune di Genova ha appena approvato il piano, ma con un vincolo preciso: il 70% dei volumi da costruire saranno riservati al Polo Tecnologico, nel 30% restante – servizi e connettivo urbano – dovranno anche esserci le case. E’ un via libera alle costruzioni immobiliari come primo elemento di “rianimazione” della collina che in parte contrasta la richiesta dei promotori (high tech 51% e il resto al 49) (Repubblica, 4 dicembre).
Oggi nessun giovane di Stanford si sognerebbe di cominciare la sua carriera imprenditoriale nella Silicon Valley. I prezzi immobiliari a metro quadro nella Silicon Valley sono al livello di Manhattan. Quali saranno quelli del Technology Village? Astronomici, c’è da scommettere.
(Oscar Itzcovich)
Scusi, io studio a Cambridge, MA, USA, dove per un monolocale pago 1000 dollari, ma pur di studiare ad Harvard le assicuro che li pago volentieri. Eppure sono genovese, braccino corto stando agli stereotipi. D’altro canto prima ho studiato a Milano dove i prezzi erano doppi o giu’ di li’ rispetto a Genova, ma anche li’ i prezzi erano un problema ma non il maggiore. Per il giovane di Stanford, come per tanti amici che hanno preso la via dell’estero (di me ho gia’ detto troppo) il costo delle case non e’ proprio il problema centrale (anche perche’ un buon ricercatore e’ ben pagato se i prezzi sono di mercato). Il problema piu’ grosso per un ricercatore, specie se giovane e desideroso di fare la ricerca pura che si fa per lo piu’ in universita’, sara’ piuttosto che dovra’ impelagarsi nella struttura universitaria pubblica dove una parte enorme delle sue energie sara’ distolta dalla ricerca e indirizzata verso, come possiamo dire, la non tanto nobile esigenza di curare l’orto delle relazioni accademiche (in gergo e’ molto volgare, lei capisce…). Detto questo, concordo che potranno esserci anche dei problemi di innalzamento dei prezzi per chi vive nei pressi e non e’ ricercatore, certamente un problema per alcuni, ma talvolta anche un vantaggio (se abitassi nei pressi per esempio non mi spiacerebbe che rinnovassero la zona e la mia casa acquisterebbe certamente valore). Ma questo e’ un altro problema. Se Leonardo fallira’ sara’ perche’ li dentro ci andranno le cariatidi della facolta’ di ingegneria tra le quali certo ci sara’ qualche buon ricercatore, ma la cui maggioranza ha da tempo esaurito la spinta e la vitalita’ necessarie per produrre buona ricerca. E il giovane ricercatore non verra’ da oltreoceano per servire il barone di turno, magari con lo stipendio bassino dell’universita’. E cosi’ pure le imprese, non so che vantaggio avranno dallo stare appresso ad una universita’ in fin divita quale quella di casa nostra. Se, vado di fantasia, ci mettessero una filiale del MIT nelle torri di Leonardo, il progetto avrebbe successo sicurissimo, con o senza prezzi doppi e tripli!
Cordiali saluti,
Giovanni Ursino