Un libro sull’Acna – La fabbrica dei veleni non interessa piu’

“Cent’anni di veleno. Il caso Acna, l’ultima guerra civile italiana” (Stampa alternativa, 10 euro) di Alessandro Hellmann è un piccolo libro (125 pagine, formato tascabile) che racconta con parole semplici una storia che comincia con l’insediamento di una fabbrica di esplosivi a Cengio nel 1882. “I contadini la osservano crescere dalle cascine e dai cortili delle loro case di pietra e fango. Indicano col dito. E’ un miracolo. Nessuno ha mai visto una fabbrica così grande”. La fabbrica, negli anni, produrrà anche coloranti, vernici, prodotti chimici (acido solforico, nitrico, fenolo). “L’azienda pensa a tutto: dal regalo di Natale ai dipendenti fino al dopolavoro, all’asilo e ai campi sportivi”.


La fabbrica, insieme alla materia prima, trasforma la Bormida, “che entrava pulita nell’Acna e usciva tossica e di un colore rosso”. Beppe Fenoglio nel racconto “Un giorno di fuoco” scrive: “Hai mai visto Bormida? Ha l’acqua color del sangue raggrumato, perchè porta via i rifiuti delle fabbriche di Cengio e sulle sue rive non cresce più un filo d’erba. Un’acqua più sporca e avvelenata, che ti mette freddo nel midollo, specie a vederla di notte sotto la luna”.
Il fiume, pochi chilometri dopo Cengio, entra nel Piemonte, un semplice fatto amministrativo, che tuttavia farà parte indissolubile della storia. Perché quella dell’Acna è anche una storia di guerre: tra i contadini e la fabbrica (“La sua vigna papà aveva dovuto darla via per niente. Dall’uva veniva un vino cattivo e non si trovava a venderlo”); tra i contadini e gli operai, che difendono quel posto di lavoro; tra liguri e piemontesi, perché gli uni hanno la fabbrica, ma gli altri l’inquinamento. Che giù per il fiume arriva addirittura fino ad Alessandria, a 100 Km da Cengio. I sindacati divisi e anche i partiti (“In Piemonte dicono una cosa e in Liguria ne dicono un’altra”). Centinaia di contadini nel 1938 citano l’Acna per danni. Ventiquattro anni dopo sono condannati a pagare anche le spese processuali. Una storia che lascia dietro di sé una lunga scia di morti: incidenti sul lavoro, cancro. E che prosegue tra manifestazioni di protesta, citazioni, delibere, sentenze, appelli e commissioni ad ogni livello finché, nel 1999, l’Acna viene chiusa definitivamente.
E comincia un’altra storia. Hellmann la sfiora nelle ultime pagine. “Oggi, Cengio è come una periferia senza centro. Uno sfilare silenzioso di case segnate dal tempo, muri scrostati e neri di fumo”. Dopo centinaia di leggi, decreti, ordinanze, sentenze, delibere, protocolli e interminabili riunioni di comitati interministeriali e interregionali, di commissioni parlamentari di inchiesta e di commissioni miste tecnico-scientifiche, l’aria si riempie di nuove parole: esondazione, percolazione, armonizzazione del quadro normativo, piano di caratterizzazione, riqualificazione. E’ la bonifica. Che a tutt’oggi non si sa quanto costerà, chi pagherà e quando finirà. Perché la storia non è finita. Altre battaglie escono e rientrano continuamente dalle aule di giustizia, come quella in corso per la contestata nomina del commissario per la bonifica.
Insomma, Hellmann ci racconta una di quelle storie che non finiscono mai. Che è sempre diversa e sempre nuova perché non è solo a Cengio che è accaduta. E che accade ancora e dappertutto. Una storia che i media non hanno voglia di raccontare. A quando risale l’ultima volta che stampa e TV hanno parlato di Cengio? La bonifica di un vasto territorio non è notizia.
(Oscar Itzcovich)