Film – Quella piccola resistenza nella grande Germania
Sono troppo piccole le spalle di Sophie Scholl nella Germania nazista del ’43. Troppo ingenuo, folle, sconsiderato quel lancio di volantini all’Università di Monaco, di un’atrocità prevedibile quanto il film sviluppa nelle sequenze successive, tanto da indurre lo spettatore a chiedersi perché vedere una storia dai capitoli noti, dal finale scontato.
“La rosa bianca” deve molto a Jiulia Jentsh, l’attrice che interpreta la ventiduenne Sophie, e deve tutto all’idea che si possa restituire la memoria di una resistenza tedesca al pubblico europeo come se, accanto alla “banalità del male”, si potesse contrapporre il coraggio di pochi, in una nazione totalmente consegnata alla dittatura.
Piacerà ai credenti questo film, perché Dio è nelle preghiere di Sophie e nella sua faccia che cerca sino all’ultimo i raggi di sole concessi. Piacerà a chi ritiene sia bene ricordare chi per la libertà di espressione ha dimenticato se stesso.
Sophie Scholl per difendersi dalle accuse si dichiara “apolitica”, ritrattando in seguito. Un’amica tedesca mi raccontava che sin da piccola a scuola le hanno ricordato i campi di sterminio e la guerra. Sino a farla vergognare di essere tedesca. Mi diceva “che in Germania sono molto spaventati sia a destra che a sinistra dall’anomalia politica italiana perché sanno bene alla lunga cosa può produrre…”.
Recentemente un sindacalista durante un’assemblea ha detto: “Lo sai che sono asettico. Sono apolitico! Non mischiamo la politica!”. Forse gente così farebbe bene a vedere “La rosa bianca” per capire la portata di certe affermazioni.
(Giulia Parodi)