Integrazione. Ma perchè più immigrati tra le vittime del lavoro?

E’ in corso una particolarissima forma di integrazione degli immigrati nel nostro paese: muoiono sempre più spesso nei nostri cantieri. A Genova la nostra area portuale conta a distanza di pochi mesi due morti immigrati, l’albanese Albert Kolgjegja e il peruviano Fernandez Barbeton Josè Luis.


Questa nuova “normalità” della presenza immigrata inizia ad essere, in ambiti specialistici, oggetto di attenzione: una ricerca dello IIMS (Istituo Italiano di Medicina Sociale), svolta in collaborazione con Caritas e INAIL, è stata presentata a Genova in un convegno lo scorso 3 di Maggio, e il settimanale della CGIL Rassegna Sindacale ultimamente ha affrontato più volte l’argomento. L’attenzione è giustificata dal fatto che gli stranieri si infortunano più degli italiani: nel 2001 erano infatti il 4 % della popolazione residente, circa il 3.4% degli occupati regolari (stime INPS), e il 9.1 % degli infortuni indennizzati (dati INAIL).
Il numero degli infortuni denunciati dagli immigrati è salito inoltre in modo significativo negli ultimi 3 anni, dai 68.187 del 2001 ai 105.779 del 2003. Nel 2003 ben l’11 % degli infortuni mortali ha riguardato immigrati. Questa dinamica certamente dipende anche da un parziale processo di emersione dal lavoro nero al lavoro regolare, ma resta il fatto che il numero di infortuni ogni 1000 addetti è di 55.6 per gli immigrati, e di 43.2 per la generalità degli occupati.
I motivi? Sono ovvii: gli immigrati lavorano nei settori a maggior rischio, in imprese di piccole dimensioni, sono più facilmente ricattabili (la perdita del lavoro può far perdere il permesso di soggiorno), è più facile imporre e far accettare a molti di loro orari di lavoro lunghissimi (necessità di mandare i soldi in patria, assenza di un contesto familiare…)
Il fenomeno in ogni caso è ampiamente sottostimato: il lavoro nero è ancora diffusissimo, e mancano del tutto dati sugli infortuni nel lavoro domestico, ambito lavorativo ad altissimo rischio, anche mortale.
(Paola Pierantoni)