Alice. Se invece del capo c’e’ il tutor
Eccomi qua, sono di nuovo io, Alice!
Ieri sera rileggevo la mia presentazione e mi sono detta: forse è meglio che a quelli di OLI spieghi un po’ per bene come lavoro, perché non devono averci capito granché. Sapete, noi dei Call siamo un popolo di iniziati ed usiamo un linguaggio molto, molto trendy: termini inglesi a stecca. Credo che serva a farci sentire speciali, sacerdotali formichine tecnologiche orgogliose del loro bel formicaio.
Così anche se ci pagano poco (in alcuni call molto, molto poco: poi vi dirò), e se usciamo dal nostro turno con la testa intronata, siamo contente lo stesso. Almeno per il tempo che basta. Poi quando siamo spremute per benino, o non ce la crediamo più, ci sono alla porta eserciti di formichine affamate pronte a darci il cambio.
Ma non divaghiamo. Dunque parlavo di come lavoriamo e del linguaggio che usiamo. Bene, noi, come tutti quelli che lavorano, abbiamo dei “capi”: cioè gente che guadagna un po’ più di noi (non molto di più, solo un po’, diciamo 90, 100 € al mese), e che ci assegna il lavoro, ci sorveglia, ci richiama se secondo loro perdiamo tempo, ci dice se stiamo dentro gli obiettivi aziendali, eccetera. Le solite cose.
Ma noi – qui sta la differenza! – non li chiamiamo capi. Eh, no! Loro sono i nostri “tutor”, e cioè (vedi Dizionario Ragazzini) “istitutori, precettori, insegnanti privati, assistenti” .
Evviva! Lavoriamo in un mondo senza capi, abbiamo realizzato l’utopia. Quindi quando il mio tutor dalla sua postazione al centro del Call lancia l’urlo di Tarzan e mi grida “Cortesemente Alice, ti metti in avail?” (che vuol dire: la pianti o no di stare in pausa?) non esercita un potere direttivo per aumentare la mia produttività, ma svolge un’azione pedagogica nel mio primario interesse. Questo mi rassicura molto, mi fa sentire amata. E’ come tornare ai tempi di scuola. Devo dire che questo non è un tratto esclusivo del mio Call. Conosco parecchie altre persone che fanno questo lavoro (stiamo diventando sempre di più!) e che io sappia, la parola “capo” è ovunque bandita. Alla yyy ad esempio hanno uno stile più sportivo, così i capi li chiamano “coach”, cioè “istitutore”, ma anche “allenatore, istruttore”. Invece alla xxx sono un po’ più old style, e i capi li chiamano “supervisor”, cioè “soprintendenti, sorveglianti”. Tuttavia converrete con me che il termine inglese ingentilisce parecchio la cosa, e dà al tutto quel tocco di modernità che non guasta.
Vabbè, ho quasi raggiunto il limite delle 500 parole che per voi (lo so) è una specie di muro del suono, ed ora vi saluto. Però, già che voi trafficate con le parole, vorrei chiedere una cosa: le parole sono importanti? Cioè, chiamare “capo” un capo è una cosa che aiuta a capire come gira il mondo, o no? Scusate, a volte mi vengono delle domande! E’ che sono così giovane, così inesperta… avrei bisogno di tutors, davvero.
Laura Chioetto e Paola Pierantoni