Lavoro. Alice nel mondo dei call center (*)
Ciao, sono Alice, operatrice di Call Center di uno dei tanti gestori italiani di telefonini che sgomitano per catturare la vostra attenzione e i vostri soldi. Aziende di successo, guidate da imprenditori di successo le cui immagini campeggiano ricorrentemente nelle prime pagine degli inserti di affari e finanze. Un quadro esaltante, eroico, romantico di lotte concorrenziali (si fa per dire). Gli avversari dipinti come imbelli a contar soldi nei loro uffici, mentre gli outsider sfidano la storia e percorrono impavidi la brughiera a piantare antenne.
E noi? Noi centinaia a Genova, e… non so quante (e quanti) in tutta Italia, noi interinali, noi contrattiste a termine a 5, 8 10 mesi, noi logate dell’inbound e dell’outbound , noi con le nostre occupancy, i nostri coach, noi del business o del consumer, noi con la spia che ci misura l’AHT e l’ACR e che diventa rossa di rabbia e di rimprovero se la media delle telefonate del Call supera i 4 minuti, noi, dico NOI, dove diavolo siamo?
Beh, se avete la pazienza di seguirmi vi faccio guardare un poco dal buco della serratura.
Sia chiaro, per fare questo lavoro ci vuole una formazione coi fiocchi, e la mia azienda prende la questione molto sul serio. Vogliono persone innamorate dell’azienda. Così ci hanno mandato a un corso che doveva essere di tecniche di comunicazione col cliente (sembrare tranquilli, rispondere col sorriso perché il tono della voce è diverso eccetera, eccetera …), ma che si è rapidamente trasformato in una seduta di psicanalisi. Esagero? Vedete voi.
Ore 10, eccoci in aula per la parte sulla assertività: entra il sig. Rossi, che si presenta come organizzatore di corsi per aziende e privati cittadini che vogliono acquisire maggiore sicurezza in se stessi, vincere lo stress etc… Io (diffidente?) sento puzza di manipolazione: mi chiudo in me, osservo e ascolto. Quanto meno, penso, per queste otto ore non sarò logata….
Partenza soft: “Raccontate le situazioni in cui non siete riuscite ad essere sufficientemente “assertive” col cliente…” Il tizio si pone in maniera simpatica, per farci parlare, ed io comincio a rizzare gli aculei. Barbara invece raccoglie l’invito e racconta la volta che ha litigato con il
cliente, l’insonnia, il mal di stomaco quando il cliente ha dato disdetta … Fin qui, direte, niente di male.
Ma al nostro “formatore” questo non basta, ed ecco che spinge il pedale sulla nostra vita privata: “Su, tirate fuori i vostri problemi, scavate nel vostro quotidiano, portate esempi di situazioni in cui avreste voluto essere più sicure di voi stesse, apritevi!”. E … e c’è chi ci casca. Saltano fuori i racconti: di piccole frustrazioni quotidiane (il litigio allo sportello di una banca…), di rapporti difficili con i genitori, di speranze deluse. Una mia collega inizia a parlare delle sue aspirazioni appena presa la laurea, l’ammirazione per le giovani 20enni che le mangiano in testa perchè non si accontentano del lavoro del call center, che vanno avanti e ci riescono, mentre lei … e scoppia in pianto. Non è la sola.
Io divento definitivamente muta, e quando usciamo dall’aula mi sento dire: “Grazie per il suo contributo. Grazie per non aver risposto a nessuna delle domande” e per aggiunta ricevo (gratis) la diagnosi: “Lei è una persona che sicuramente avrà dei problemi nella vita perché se non ha voluto rispondere, vuol dire che avrebbe detto delle cose non belle da dire davanti agli altri”.
Sbaglio o siamo in seduta psichiatrica?? Non sbaglio, alla fine delle 8 ore, dopo le crisi di pianto, le colleghe si sentono svuotate, leggere, pronte a farsi insultare ancora ingoiando i loro mille rospi.
In molte chiedono al sig. Rossi il recapito per poi scrivergli com’è andata con quella loro paura, per dirgli se alla fine sono riuscite a mandare via di casa il coinquilino psicotico, per avere consigli su come migliorare la loro carriera, su come affrontare la giornata, la vita…
Lui, beato, dice scherzando (?) che riterrebbe molto utile la presenza di uno psicologo aziendale… Rido, ma poi penso… va a vedere che ci arriviamo.
La vostra Alice
(*) Tutti i nomi sono di fantasia, le situazioni a cui ci siamo ispirati no.