Non solo calcio. La radicalizzazione rossoblucerchiata

Non so se si è fatto caso che per le strade, nei bar, sul lavoro, sempre più persone indossano catene, braccialetti, doppi caschi, sciarpe, berretti, maglie inneggianti alle due squadre cittadine, oppure che tantissimi espongono su moto e macchine, zaini e tracolle, addirittura tatuati sui bicipiti, loghi canonici del tifo rossoblucerchiato.


E’ sempre stato tra i ragazzi ma qui parliamo di tutti anche di mia madre che non va più a comprare da quel panificio perché sono “sampdoriani” e prendono in giro (pesantemente) le disgrazie recenti dei cugini.
Ragionamenti del genere se ne sentono su ogni autobus, in ogni filiale di banca dove gli stessi operatori, orgogliosi e fieri della loro appartenenza, caratterizzano il proprio desktop con adesivi e pupazzetti vari pro Genoa o pro Sampdoria. Una febbre del genere – leggermente scemata ora che i campionati sono iniziati ma tendenzialmente destinata a salire quando cominceranno le prime difficoltà – non ha risparmiato nessun muro, porta, saracinesca e intonaco genovese: da Sestri Ponente, al Lagaccio, a Struppa sino su alla sperduta Creto è un susseguirsi di “pernacchie” al Genoa in C in salsa sampdoriana, di sentimenti di fede eterna per il vecchio Grifone di sponda rossoblu e un pout pourri di insulti, minacce, nefandezze e cretinerie di tutti i generi sugli argomenti caldi di questa estate di passione. Finita come ben sappiamo in un sorta di G8 in sedicesimi.
Non si tratta di una radicalizzazione del conflitto semmai quella che si è radicalizzata è l’appartenenza, l’identità… con parole di oggi la fidelizzazione verso un marchio. A Genova questo marchio è quello del Grifo e quello della Samp. Non ce ne sono altri. Non ce ne sono più visto che, a parte Tangentopoli, i momenti di folla più sentiti degli ultimi quindici anni sono stati i funerali di Paolo Mantovani con più di 20mila persone piangenti e l’approdo del Genoa alla semifinale di Coppa Uefa (quell’enorme bandiera WE ARE GENOA a coprire tutti i distinti dello stadio di Marassi). Ah quei primi anni ’90! I genovesi toccavano il cielo con un dito: Sampdoria campione d’Italia e Genoa quarto! Tutto il resto poteva aspettare.
Giorgio Tosatti che dopo Brera è l’opinionista più ascoltato del calcio in Italia (Corriere della Sera e Domenica Sportiva in tv) ha avuto da dire sulle reazioni del popolo genoano (Pericu e Bertone compresi), come altri giornalisti dei maggiori organi di stampa. Questo Tosatti è un po’ ondivago politicamente (si era schierato a favore di Berlusconi, o meglio dei progetti della Casa delle Libertà sullo sport nel 2001) ma bisogna ricordare che anche lui come Brera “tifava Genoa dai tempi di Verdeal e Abbadie” e con Brera ha scritto a quattro mani Genoa, Amore mio. E dunque il suo rammarico è sinceramente genuino e, oserei dire, dirimente. Il suo raccapriccio è anche il nostro.
Dal Corriere della Sera del 25 agosto 2005: “La mia Genova era una città seria. La sua gente scendeva in piazza per strapparla ai tedeschi impedendo che distruggessero porto e fabbriche: lo fece da sola prima che arrivassero gli Alleati. Vi tornò per far cadere un governo sgradito. Pur pensando tutto il male possibile del ribellismo politico esploso durante il G8, aveva comunque motivazioni importanti. Ma farlo per difendere il più goffo, infantile, acclarato illecito nella storia del nostro calcio è ridicolo”.
Altri commenti?
(Elio Rosati)