Villa Podestà. La mesta vergogna dei “tirocini”
Villa Podestà a Pra oggi finalmente ristrutturata, ospita uno dei centri per l’impiego della Provincia. Ci vado con un mio collega per fare quattro ore di lezione (le uniche che riceveranno) a un gruppo di persone giovani (ma non giovanissime) in procinto di andare a lavorare “in tirocinio” nei luoghi di lavoro più vari.
Due ore le dedichiamo alla sicurezza sul lavoro, due ore ai diritti contrattuali: questa è la parte che tocca a me. Io mi porto dietro la mia piccola bibbia, una compendiosa raccolta analitica di leggi e contratti, che sempre più rapidamente lascio da parte. E’ più di un anno che facciamo questi incontri, uno al mese, ed è più di un anno che ci vediamo scorrere davanti visi scettici e rassegnati. La mia bibbia parla di diritti che nessuno ha cancellato, ma che valgono su un’isola sempre più piccola su cui le persone davanti a me non abitano, un’isola le cui coste sono sempre più erose, tutto intorno, da una precarietà a perdere che non offre né soldi, né sapere, né futuro.
Domando: ma che lavori andrete a fare? E ricevo un mazzo di risposte: educatore in una cooperativa, in Comune, lavorerò in uno studio commerciale, nel porto, in un centro estetico … E quanto venite pagati? 300 euro dalla Provincia … poi i datori di lavoro se vogliono aggiungono del loro. E lo fanno? Qui si apre la lotteria. Molti (tra questi il Comune) non aggiungono un euro. Al massimo i buoni pasto. Qualcuno aggiunge 100 euro. Il primo premio oggi lo ha vinto la ragazza del centro di estetica: ben 400 euro di integrazione da parte della azienda. La lotteria del salario. Il concetto di diritto completamente annullato.
Altre volte ho anche chiesto: e finora che lavori avete fatto? E che lavori pensate che farete in futuro? Ricevendo in risposta sguardi disincantati e privi di aspettative: i lavori si susseguono infatti senza senso, senza accumulo di competenze, senza costruzione di stabilità.
Le responsabili del centro mi dicono che fanno quel che possono per limitare gli abusi più inaccettabili (ad esempio usare i tirocinii per sostituire il proprio personale in ferie), mi dicono anche che un 50 percento di queste esperienze approda poi a un contratto di lavoro, ma quasi sempre a termine. Solo in qualche caso si produce il miracolo di un contratto a tempo indeterminato.
Col mio collega continuerò, negli appuntamenti già fissati per il prossimo autunno, a raccontare qualcosa a queste persone che ci ascoltano con pazienza e cortesia. Però provo imbarazzo e vergogna.
Paola Pierantoni