Affresco/1. I piedi nel piatto
E’ il 22 giugno 2005 quando Piano dice la sua (OLI n. 64). Fa osservare che da un anno – è il tempo trascorso dalla presentazione del suo progetto Waterfront – non si è mossa foglia. Anzi, per dire la verità di foglie se ne son mosse ma nella direzione opposta al suo progetto.
“Il mio gesto non è tattico… Qui c’è una visione politica diversa…. Vogliono cementificare il Levante come hanno fatto col Ponente? Le Riparazioni sono una scusa… si possono trovare soluzioni concordate magari non concentrandole… ma è una scusa tirare fuori quella partita magari con il discorso dei 6000 posti di lavoro… Ci mettono anni a riempire il buco di calata Bettolo previsto dal piano del 1999. I responsabili dicono che ci vogliono 8 anni, 8 anni per riempire un buco” (Repubblica 23 giugno).
Traduzione: state usando il mio progetto per farvi gli affari vostri come sarebbe togliere il mare davanti alla città e a Levante o portare insostenibili quantità di traffico in città. Se la pensate così, ditelo chiaramente. Io comunque tolgo il disturbo.
Scandalo, stupore, irritazione. Sui quotidiani la parte del leone la fanno i politici. Bisogna capirli. Devono spiegare come dopo aver fatto passerella un anno fa con Piano al Porto Antico – omaggi, complimenti, letterine melense- si trovano ad un anno di distanza ad essere sfiduciati dallo stesso Piano. E’ tutto un equivoco, dicono Pericu, Burlando e Novi. I genovesi non devono preoccuparsi (come invece Piano li invita a fare). Ci sono – è vero – delle “criticità” ma l’ufficio Waterfront presieduto dall’arch. Vitelli le risolverà quanto prima in modo da far procedere l’Affresco col Piano Regolatore portuale (fermo da ben prima del progetto Piano).
Ma non si tratta di un equivoco; lo prova il fatto che dal giorno delle affermazioni di Piano è stato un susseguirsi di dichiarazioni nel segno o dell’insofferenza verso il suo progetto. Insofferenza per dover affrontare pubblicamente, fuori delle stanze della gente che conta, questioni gravi che toccano il futuro della città. Pensavano di cavarsela con un po’ di omaggi di facciata e continuare a fare i propri affari protetti dalla griffe dell’architetto. Che però non è stato al gioco e ha messo i piedi nel piatto.
Manlio Calegari