Dubbi/3. Lauree in svendita da Ricucci a Rossi
Stefano Ricucci, odontotecnico, immobiliarista e finanziere, ha ottenuto recentemente la laurea in economia presso la Clayton University, succursale di San Marino (il Sole-24 ore, 10 giugno). Valentino Rossi l’ha appena ottenuta honoris causa in Comunicazione e pubblicità per le organizzazioni alla Facoltà di sociologia dell’Università di Urbino (la Repubblica, 31 maggio).
Nel primo caso, gli esami potevano essere sostenuti via email e l’unica presenza obbligatoria richiesta è stata quella della discussione della tesi: costo 7.640 euro. Nel secondo, non ci sono stati esami, costo zero, ma invece il campione ha dovuto faticare e rischiare molto di più e per più anni sulla motocicleta. Tutti e due possono fregiarsi del titolo di dottore. Quello di Rossi, ha valore legale anche se solo onorifico, quello di Ricucci è invece un semplice pezzo di carta. Durerà questa distinzione?
Il valore legale della laurea, non di quella onorifica, rilasciata dalle università riconosciute dallo Stato è ormai sotto attacco. Da più parti, e sempre più insistentemente, si chiede di abolirlo. L’ultima voce è quella dell’autorevole Mario Monti, ex comissario UE alla concorrenza e attuale presidente della Bocconi (Corriere della sera, 2 giugno). Una laurea è un titolo che ha oggi lo stesso valore legale in tutte le università riconosciute. L’abolizione di questo riconoscimento in nome del mercato e della concorrenza a chi può giovare? In futuro, basteranno lauree honoris causa a pioggia e creative campagne promozionali ad equipararle alla Bocconi?
Mercato e concorrenza si dovrebbero coniugare con pari opportunità, ma oggi tutte le università sono in gravissime difficoltà. Le risorse per la ricerca e per la didattica sono sempre più scarse, il reclutamento è bloccato da anni e i guasti introdotti con la riforma Moratti-Berlinguer sono sotto gli occhi di tutti. Una riforma che a Genova – per fare un esempio – ha moltiplicato i corsi di laurea e gli insegnamenti (ma non si è lontani dalla media nazionale). Questa proliferazione si chiama offerta formativa anche se non tiene conto né delle effettive possibilità di erogarla né della domanda degli studenti, i “consumatori”. Per i quali invece aumentano le tasse e diminuiscono i servizi.
In un recente convegno organizzato sul tema “Università: dal centro alla periferia”, Giorgio Devoto ha detto che “se il centrosinistra vincerà le prossime elezioni avrà molto da fare per riportare l’università sulla retta via” (la Repubblica-il Lavoro, 11 giugno). Se vincerà!
Per farlo servirebbe comunque un confronto che cominciasse subito e fosse pubblico. Tra i docenti in primo luogo, anche se finora le loro discussioni in circoli specialistici e ristretti non hanno sortito nessun effetto. Forse perché i docenti sono anche parte del problema.
(Oscar Itzcovich)