Diritti. I bambini non sono cavie per la socio-ingegneria

Si può replicare a una nota dell’OLI? Forse sì, visto che la relativa newsletter è a sua volta oggetto di osservazione. In tal caso diciamo subito che in poche righe è difficile condensare tanti problemi, come ha fatto -col linguaggio spedito dei giovani (non quello misero degli sms)- Giulia Parodi, a proposito della recente prova di laicità fornita dall’ultracattolica Spagna.


Avere riconosciuto a livello legislativo i diritti di un’unione legale alle coppie di fatto, etero o omosessuali che siano, rappresenta senza dubbio un bel passo avanti verso una visione più civile, meno retriva, diciamo pure meno ipocrita della vita familiare; e non si può che condividere gran parte delle osservazioni espresse confrontando il “coraggio” innovativo di Zapatero con le “timidezze” nostrane, sinistra compresa.
Ma siamo proprio sicuri che certe “prudenze” non siano giustificate, anzi necessarie? A rischio di apparire tartufi, parrucconi o peggio, non sembra possibile unirsi al coro dei facili consensi almeno su un punto della legislazione iberica portata a modello: precisamente quello dove si riconosce ai due conviventi dello stesso sesso di avere e crescere figli attraverso l’adozione. Qui bisogna stare molto attenti. C’è il rischio di perdere di vista il principio fondamentale -non di antica acquisizione- che pone l’interesse del bambino al centro e al di sopra di tutti gli altri. Ancora pochi decenni fa -non dimentichiamolo- i trovatelli venivano dati in adozione a vecchi signori soli o solitari, un po’ come si fa per i cagnolini da compagnia, con inenarrabili conseguenze disastrose; finché la riforma della legislazione dei minori ribaltò concetto e spirito della norma, ponendo la tutela del bambino come il primo e unico fine da raggiungere.
Non sono pochi gli aspiranti genitori che si sono visti respingere il loro desiderio di adozione, solo perché di qualche anno oltre l’età ideale, o perché all’esame preliminare hanno tradito certe aspettative o inclinazioni non abbastanza generose verso la nuova prole. Passi la severità di giudizio (talvolta “impressionistica”) quando lo scopo è di perseguire solo ed esclusivamente l’interesse del soggetto più delicato. Ma da qui a sostenere che sia un bene per il piccolo crescere all’interno di una famiglia anomala, quale certamente è una coppia di soli uomini o di sole donne, c’è davvero di mezzo il mare. Non basta la celebre versione edulcorata del film “Il vizietto”, protagonista l’indimenticabile Ugo Tognazzi, per convincerci che coincida col miglior futuro pensabile per un figlio quello di crescere con papà e mamma dello stesso sesso.
Come genitori, naturali o legali, riusciamo a combinare già troppi guai, pur muovendoci su terreni meno impervi. Forse non è il caso di trasformare i figli in cavie per esperimenti di un’improbabile ingegneria sociale.
(Camillo Arcuri)