OLI 292: PUBBLICITA’ – Eni, convincere od obbligare ?
Sta accadendo da tempo su molte testate web che sopra il giornale appaia una “finestra” indesiderata di pubblicità quando si apre la pagina iniziale del giornale. Una volta queste pubblicità si chiamavano pop-up, oggi sono state sostituite da tecniche che aggirano i software di sicurezza ma ne mantengono lo scopo, quello di far apparire alla vista del lettore qualcosa che non desiderava, in un momento di massima attenzione visiva. E’ sicuramente una cosa sgradevole, ma fino a qui si tratterebbe di una lotta di furbizia confinata all’interno di quella discrezione che deve comunque accompagnare la pubblicità (convincere ma non obbligare), con la possibilità di eludere rapidamente il messaggio chiudendo la finestra con la classica “x” che viene posta in un qualche angolo dello schermo, prima che la stessa lo faccia da sola passato un determinato tempo. Così che il lettore, dopo un iniziale fastidio, si sente liberato e può considerare questa piccola intrusione come un qualcosa di necessario, per mantenere il web gratuito, per consentire al giornale di finanziarsi, insomma, alla fine, che la pubblicità abbia uno scopo “buono”. Mai un servizio come Facebook o Google Ads di sognerebbe di fare quello che ha fatto, invece, Eni.
Infatti, la nostra primaria azienda nazionale propone una pubblicità sibillina, che è stata in onda sul sito del Secolo XIX per alcuni giorni partendo dal 2 febbraio 2011. La sua finestra ha sì la “x” presente in bella vista al solito angolo, ma è finta e non serve affatto a chiudere la finestra, ma come trappola per saltare direttamente al sito web dell’offerta (che non viene qui linkata come nostro solito per “pena del contrappasso”). Sembra insomma che abbia voluto puntualizzare che il proprio comportamento è sempre e comunque scorretto, inadatto, incurante degli altri fin dei propri consumatori/clienti.
Peggio: con questa tecnica un utente inesperto, cercando di levarsi di torno il sito Eni apparso in modo inatteso, finirà per chiudere anche quello del giornale, restando disorientato. Un doppio effetto negativo, per Eni, che riceverà le maledizioni del consumatore, e per il giornale, che non controllando le funzionalità “maleducate” dei suoi inserzionisti lascerà un’alea di incompetenza se non di complicità da parte della propria direzione. Sarebbe auspicabile un comportamento più attento da parte della stampa, anche perché sono i loro direttori responsabili i possibili target di azioni legali volte a tutelare il diritto delle persone di non essere costrette a vedere una pubblicità.
Una violenza paragonabile ad una specie di sequestro “a scopo pubblicitario” che si riscontra anche quando ci si reca al cinema, nei multisala, dove l’orario di ingresso è tassativo, ma solo per essere presenti davanti al megaschermo 3D all’inizio dei (minimo) 15 minuti di pubblicità obbligatoria che ci si deve sorbire senza alcuna possibilità di fuga. Ma non dovrebbe esserci la libertà di scelta in Italia? Il pubblico si lamenta, ogni volta dopo 10 trailer iniziano i primi commenti a voce alta, poi qualche fischio. Sarebbe utile un’iniziativa legale in tal senso, anche a tutela dei minori messi di fronte a immagini violente, sunto di altre pellicole non certo adatte ai bambini che sono in sala per assistere a ben altra proiezione.
A conclusione, è intanto partito un messaggio al sito di Eni, per lamentarsi della stupida furbizia usata per “costringere” a leggere la pubblicità. Come ci si aspettava, ad un mese dall’invio ancora nessuna risposta, a conferma della cecità di questa azienda italiana, una volta simbolo del “buon made in italy” ed oggi ridotta a elemosinare qualche “hit” sul suo sito attraverso uno stratagemma un po’ troppo furbesco.
(Stefano De Pietro)