Migranti/1. La trappola mortale del patto Italia-Libia

Il 26 Settembre del 2004 il Corriere della Sera annunciava con soddisfazione che “L’accordo Italia-Libia contro l’immigrazione clandestina è finalmente pronto a decollare, dopo la decisione dell’Unione Europea di revocare l’embargo al Paese nordafricano” .


Sul sito di “Forza Italia” i termini dell’accordo:
Fornitura dell’Italia alla Libia di mezzi per il controllo delle coste
Addestramento delle forze di polizia libiche
Realizzazione di campi di accoglienza in territorio libico, grazie alla fornitura italiana di unità abitative e strutture logistiche. I centri saranno gestiti autonomamente dalla Libia, nel pieno rispetto della sua sovranità.
Bene. Ma il bellissimo reportage di Fabrizio Gatti sull’Espresso dello scorso 24 Marzo ci parla invece di uno dei tanti orrori del nostro mondo. Infatti, dopo avere incentivato l’immigrazione da Senegal, Camerun, Mali e Nigeria, la Libia ha afferrato al volo l’occasione offerta dall’accordo con l’Italia “contro l’immigrazione clandestina” per sbarazzarsi di un eccesso di manodopera ormai indesiderato. Come? La polizia libica (addestrata dall’Italia?) ha aperto “la caccia al nero”: retate casa per casa e davanti ai luoghi di lavoro. Poi reclusione nel campo di detenzione di Al Gatrun (Pardon, campo di accoglienza, dotato di unità abitative e strutture logistiche fornite dal Governo italiano). Infine un viaggio di dodici giorni attraverso il deserto: bambini, donne, uomini ammassati sui camion, e poi abbandonati alla frontiera dei paesi di origine. Centomila i deportati da Settembre 2004. E si muore: di fame, di sete, sbranati dai cani randagi, schiacciati negli incidenti dei camion stracarichi. Il conto ufficiale, ammesso dalle autorità libiche, parla di 106 morti da Settembre, ma nessuno compila la vera lista di morti e dispersi.
Nel frattempo chi sbarca clandestinamente a Lampedusa viene trattenuto nel “Campo di accoglienza”, dove le “unità abitative e logistiche” progettate per 190 persone ne accolgono quattrocento, seicento, mille.
Chi è dentro non può comunicare con nessuno, non è informato sulla possibilità di avanzare richiesta di asilo, non può consultare un avvocato. Ogni tanto un gruppo di una cinquantina di persone viene prelevato, imbarcato su un aereo e, indipendentemente dalla sua nazionalità, spedito in Libia, dove lo attende la trafila prima descritta. Altri vengono invece inviati al CPT di Crotone dove giungono col corredo di allucinanti “bolle di accompagnamento” (“Vi consegniamo 50 extracomunitari, tutti idonei”). Tra loro c’è chi presenta bruciature, o braccia e gambe spezzate.
Nel campo di Lampedusa è stato negato l’accesso ai rappresentanti dell’Unhcr (Agenzia dell’ONU per i rifugiati), e il 19 Marzo è stato gravemente ostacolato l’accesso ad una delegazione di parlamentari italiane. L’avvocata genovese Alessandra Ballerini che accompagnava la delegazione, ci racconta di persone che stanno male e non ricevono alcuna assistenza sanitaria, di uomini e donne che si disperano quando vengono a sapere che la destinazione è la Libia e che dovranno affrontare il viaggio nel deserto, del via vai, per ore, dei camion della spazzatura mandati a ripulire il campo prima di far entrare le parlamentari.
Forse sarebbe il caso che il Corriere della Sera ritornasse sul tema, e rivedesse il compiaciuto giudizio dato alla fine dello scorso Settembre.
(Paola Pierantoni)