OLI 297: CULTURA – Enzo Costa, a teatro

Genova ha la fortuna di avere un gruppo di artisti di alto livello capace anche della dimensione dell’amicizia, della semplicità e della gratuità, così lunedì 4 aprile c’era aria di famiglia sul palco del Duse. Chissà quante altre città possiedono questo piccolo tesoro, e chissà se Genova sa fino in fondo di averlo. Forse no, perché altrimenti la sala anziché essere piena per i due terzi, lo sarebbe stata per intero, con la gente in piedi, e la coda fuori a premere per entrare.

Il titolo dello spettacolo era “Quanto Costa!”, e ruotava intorno alle rime e agli aforismi di Enzo Costa. Chi legge La Repubblica e Oli, attraverso i “Lanternini” e il “Versante” ne conosce bene dimensione etica ed ironia, ma questa è solo una parte dei regali che ci vengono dalla “passione-ossessione di giocare con la lingua” che anima dal 1988 il nostro amico scrittore. Sul palco recitazione e musica l’hanno fatta brillare per intero, cosicché si è riso e applaudito molto in sala, e di cuore, e si è andati via segnando questa serata tra quelle da ricordare, come era stata poco tempo fa, il 27 gennaio, un’altra splendida serata “familiare”, quella del “DeScalzi’s Restaurant”, al Genovese.
I nomi sul palco vanno detti, segnati e ricordati: Enrico Campanati, Carla Peirolero, le ragazze e ragazzi del Suq, Gian Piero Alloisio, Roberta Alloisio, Claudio Pozzani, Andrea Possa (dei Soggetti Smarriti), e gli artisti-giornalisti Giuliano Galletta (Il Secolo XIX) e Stefano Bigazzi (La Repubblica).
In alto, dalla galleria, la voce di Enzo Costa medesimo, intenzionalmente robotica e straniante, riportava a intervalli l’emozione del pubblico dalla spensieratezza a quel di molto serio e poco allegro che sta al fondo delle sue rime.
A testimonianza di questa dimensione, ancora sotto l’impressione della malinconica manifestazione dei precari di venerdì scorso a S. Lorenzo, scelgo la poesia “L’uomo flessibile” (da “Rime Bacate e aforismi da Banco”, Enzo Costa – Editori Riuniti, 2010) che Costa pubblicò su Cuore nel lontano 1995, quando ancora in molti – anche a sinistra, anche nel sindacato – esaltavano la modernità del lavoro flessibile e il suo gradimento da parte di giovani che in un lavoro stabile – si diceva – si sarebbero sentiti in gabbia. Sic.
(Paola Pierantoni)

L’uomo flessibile
ti prego, scusami
se son volubile
e dall’umore
piuttosto instabile
per cui risulto
così fuggevole
che sfioro il limite
dell’ineffabile.
Scusami tanto
se son mutevole
se ho questo fisico
ipersnodabile
per niente rigido
ma ultraflessibile
ben più che duttile
direi plasmabile.
Scusa se oscillo
a mo’ di pendolo
se mai sto fermo
ma sempre vagolo
se uso solo
le sedie a dondolo
e se di notte
sono nottambulo
giammai riposo
bensì deambulo
se sembro in preda
ad un delirio
di chiaro stampo
psicomotorio
giacché il mio scopo,
quello primario,
è deragliare
da ogni binario.
sarò ridicolo
ma avrò un salario
ecco il miracolo:
sono precario.
Enzo Costa, da Cuore 1995