Disinformazione. Come la guerra ci sta cambiando
Nel pieno delle polemiche e dell’orrore, della rabbia e dell’incertezza successive all’azione che ha portato alla liberazione di Giuliana Sgrena e alla morte di Nicola Calipari, si è tenuta la sessione genovese del World Tribunal on Iraq: “Guerra e disinformazione di massa”.
Il WTI è un’iniziativa internazionale, voluta dai movimenti mondiali contro la guerra (Giacarta, maggio 2003) e dalla Fondazione Russell (giugno 2003), che ha lo scopo di portare alla luce le violazioni delle legislazioni internazionali e dei diritti umani, le premesse teoriche e politiche dell’occupazione e della guerra, la manipolazione dell’opinione pubblica attraverso l’uso dei media.
Corredata da un corposo opuscolo autoprodotto, sulla guerra e sull’informazione fuori dai canali “istituzionali”, la sessione genovese ha messo in evidenza alcuni aspetti particolarmente interessanti.
Negazione dell’altro. La popolazione civile è – di fatto – la grande assente dall’informazione di guerra. Paola Gasparoli di “Un ponte per Baghdad” ha denunciato l’omertà dei media sui crimini commessi a Falluja, dove sicuramente sono stati usati i gas tossici e le cluster bomb, i “liberatori” hanno passato a tappeto ogni abitazione, e dove, ancora oggi, non si può entrare liberamente perché le ruspe raccolgono terra e calcinacci da trasferire altrove. Marinella Correggia, dell’Associazione Italia-Iraq, ha parlato di violazione delle convenzioni di Ginevra che difficilmente raggiungono l’opinione pubblica, ma anche d’un atteggiamento “colonizzatore” che nega all’altro qualunque aspetto “civile” (ricorda, per esempio, che spesso sono presentati come “autisti” di reporters occidentali traduttori o ex giornalisti, il cui ruolo è determinante, come ha sottolineato Barbara Schiavulli).
Decalogo della retorica di guerra. L’annullamento dell’altro, il suo essere “senza volto”, passa attraverso un uso distorto del linguaggio che Anne Morelli, docente all’università di Bruxelles, ha illustrato attraverso esempi tratti da manifesti e prime pagine di giornali e riviste recenti e passate: la guerra, dunque, viene presentata come “necessaria” per la democrazia, conseguenza diretta dell’atteggiamento “violento” del nemico; quindi, si celano le reali motivazioni economiche, politiche, geografiche della guerra attraverso la scelta d’una “causa nobile”, si attribuisce un carattere “sacro” all’attacco, si demonizza il nemico, che “usa armi illecite”, si isolano gli oppositori, bollati come traditori.
Guerra permanente: media embedded. L’Impero americano ha stillato nelle coscienze, a partire dall’11 settembre 2001, un clima di perenne pericolo. Se in Europa esistono ancora spazi e modi per recuperare informazioni ed analisi che escono dal coro (internet, in questo senso, è senza dubbio il media più “libero”), come ha ricordato il professor Alessandro Dal Lago – anche se si tratta di spazi di nicchia, rispetto al debordare del “pensiero unico” che inficia stampa e TV – la situazione americana si presenta ancor più complessa. Nancy Bailey, del Comitato “Cittadini americani contro la guerra”, ha presentato ad un folto ed attento uditorio, la specificità sconfortante dell’informazione in America: nelle Contee, per esempio, è possibile trovare solo i quotidiani locali, non quelli più importanti; se volete avere un quadro più ampio d’un evento, non potete “fermarvi in edicola”, dovete cercare una libreria ben fornita o una biblioteca pubblica (questo spiega, in parte, la spaccatura del paese alle ultime elezioni). Il diritto all’informazione, per i cittadini americani, non è garantito nemmeno dalle televisioni: da Fox TV alla CNN, secondo la Bailey, vige, sulla guerra, solo la versione filogovernativa.
Codice di guerra: negazione dei diritti. La condizione di guerra permanente a cui ci stiamo abituando, porta con sé una serie di conseguenze anche per la vita d’ognuno di noi. La negazione dei diritti civili (a livello nazionale ed internazionale), la limitazione degli spazi di libertà, è l’ultimo dato emerso. Non si tratta “solo” dell’implicita accettazione delle torture di Abu Ghraib o di Guantanamo (e Gilberto Pagani, avvocato che si occupa dei fatti di Genova, ha ricordato che recentemente anche in Inghilterra è stato scoperto un luogo di detenzione “senza regole” come Guantanamo), ma dell’uso “civile” dei militari, della trasformazione progressiva delle regole della convivenza civile (una nuova e più potente forma di maccartismo che in Italia sta passando anche attraverso la volontà di riforma del Codice militare).
Si può fare qualcosa? La richiesta d’una azione di contrasto è venuta proprio dalla Bailey: “Non abbassate la guardia, la democrazia italiana non è fragile come quella americana, non fatevi portar via degli spazi di libertà e di diritto” .
Alla sua richiesta, un giorno prima, sembrava aver risposto Dal Lago, proponendo la moltiplicazione di “lampi” contro la globalizzazione.
(info: http://www.tribunaleitalianoiraq.org).
(Tania del Sordo)