OLI 324: LETTERE – Roberta De Monticelli, Don Verzè e la servitù volontaria
Nel suo articolo straordinario, a proposito dello scandalo del San Raffaele e del suo padre-padrone Don Verzè, Francesco Merlo ha “giustificato” le personalità eccellenti cadute nella sua rete: “… del resto don Verzé non ha sedotto solo il cardinale Martini e tutta la credula Milano cattolica. Come ogni rispettabile padrino aveva bisogno della copertura laica e dunque l’ha ingaggiata. Massimo Cacciari ed Ernesto Galli della Loggia sono due intelligenze di prima grandezza nella cultura italiana, di quelli che braccano e scovano e mettono alla gogna i vizi del paese…”
In risposta e con riferimento al “fiume melmoso del disastro che ha travolto ma non sradicato la direzione dell’ospedale e non ha finora toccato l’Università (la cui amministrazione è comunque separata e autonoma)..”, Roberta De Monticelli scrive oggi su Repubblica a proposito del “… tema profondissimo della responsabilità personale di ogni atto e di ogni cosa detta, e la divisa della veglia critica nei confronti delle proprie stesse pulsioni oscure. Allora? Merlo parla di “seduzione”, di cui sarebbero stati vittime molti che hanno creduto e sono “caduti nelle panie”.
Evidentemente prescindendo da nomi e cognomi, la domanda che (si) pone ci riguarda tutti: “non ci sarà una sorta di troppo facile giustificazione, in questa immagine delle panie? È questa la domanda che io credo dobbiamo porre a noi stessi. Questo io chiederei a tutti noi, che di questa meravigliosa giovinezza che è la ricerca vera, e di questa vera religione che è l’indagine nelle profondità dell’umano, abbiamo avuto il privilegio di vivere. A noi, che dal pensiero che scienza e sapienza dell’umano potessero quotidianamente incontrarsi abbiamo ricevuto linfa e nutrimento. E che riconosciamo con dolorosa gratitudine da dove, da chi, ci viene questo pensiero, o almeno la possibilità di metterlo in pratica.
Questo chiederei: quanto ha potuto giocare nella nostra ignoranza del lato oscuro il rinvio ingiustificabile del nostro primo dovere, quello di chiedere e dare ragione, sempre? Di chiedere trasparenza, e di applicarla, sempre? Quanto si applica agli altri, agli amministratori, e quanto anche a noi stessi, il detto che non c’è servitù se non volontaria, o almeno che anche l’opacità delle decisioni ultime, dove è subita, è volontaria? Oggi non c’è altra salvezza per questo bene, la ricerca, l’università, l’eccellenza e la libertà, che nella nostra prontezza a scindere il riconoscimento della paternità di un’idea e della sua forza, dall’acquiescenza all’oscurità dei metodi consortili della “padronanza”.
Scrisse per ben altra occasione Piero Calamandrei che «sotto la morsa del dolore e della vergogna gli indifferenti…(si sono risvegliati) alla ribellione contro la propria cieca e dissennata assenza ». “
Resta altro da dire? Mi inchino alle parole e al loro significato. Che le vergogne, che individualmente e collettivamente abbiamo attraversato e che attraversiamo, ci traghettino “alla ribellione contro la nostra cieca e dissennata assenza”.
(Daniela Patrucco)