Privatizzazioni. Vendere le Poste come in Argentina
Questa volta bisognerà prenderlo sul serio: si possono ridurre le tasse e insieme l’enorme debito pubblico accumulato. Non sono vagheggiamenti. Il premier ha tanti esempi da seguire. Ma anziché quelli di Reagan o della Thatcher sembra preferire quello dell’Argentina di Menem.
Dal 1990 tutto quello che in Argentina poteva essere venduto fu venduto: telecomunicazioni, gas e acqua, petrolio, linee. aeree, ferrovie, centrali elettriche, poste, tanto che Bush (padre) qualificò Menem “il campione mondiale delle privatizzazioni”.
E poteva ben dirlo, con la privatizzazioni delle poste, per esempio, l’Argentina, la Nigeria e il Burundi diventavano gli unici paesi che avessero privatizzato le loro poste. Furono anni d’oro, ma pochi. L’impatto negativo sull’occupazione fu deleterio e non portò come contropartita una maggiore efficienza dei servizi. A medio termine, le conseguenze di quella politica furono pagate duramente: il crollo economico e finanziario, la rivolta del dicembre del 2001, la fine del governo de la Rùa, cinque presidenti in due settimane. Gli effetti negativi si sono fatti sentire anche in Italia. Migliaia di risparmiatori italiani, consigliati dalle banche, hanno acquistati i famosi Tango Bond.
Berlusconi dichiara che la privatizzazione delle Poste “è la strada più idonea per ridurre il debito pubblico”. Non importa se le Poste Italiane sono un’azienda sana e se la vendita potrà avere effetti pesantissimi per circa 150.000 lavoratori e non importa che non esistano le condizioni per garantire nel settore una minima concorrenza. Anche perché come spiega Francesco Piccioni (“il Manifesto”, 24 febbraio) “il mercato”, potrebbe apprezzare non tanto le Poste nella loro attuale articolazione, ma “soprattutto Bancoposta, il settore che negli ultimi anni ha acquisito le caratteristiche di una vera e propria banca, con tanto di servizi finanziari (fondi di investimento, polizze assicurative, ecc). Ma in questo caso il servizio postale vero e proprio sarebbe visto come un «peso morto», con il prevedibile corollario di «esuberi», cassa integrazione, dismissioni, ecc”.
Si teme che la privatizzazione delle Poste Italiane sia cominciata da quando Poste SpA (comunicato del 24 gennaio 2005) ha raggiunto un’intesa con Mediolanum (la ben nota banca on line non dotata di sportelli di Silvio Berlusconi ), la quale si è assicurata così l’operato dei 14.000 sportelli dislocati su tutto il territorio nazionale. Forse la vera notizia è che Berlusconi vuole non tanto vendere le Poste quanto comprarle.
Intanto, nel paese, come emerge da una ricerca Demos, commentata da Ilvo Diamanti (“la Repubblica”, 27 febbraio) nel paese si fa avanti un “ragionevole desiderio di Stato” e le Poste, tra i servizi pubblici, “raccolgono il gradimento di oltre la metà degli italiani”.
(Oscar Itzcovich)