Acciaio/1. Qual è l’impatto del ciclo a freddo?

Durante l’incontro organizzato da Maestrale il 21 febbraio sull’ILVA tutto fila liscio. La storia della siderurgia scivola al teatro Modena per spiegare che una nazione è niente senza la produzione di acciaio.


Claudio Burlando svela che si può prendere un’altra strada, che Riva potrà sviluppare nella produzione del freddo quanto perderà per la chiusura del caldo e che “aver smantellato l’attività produttiva genovese non è stata una buona scelta” e chiede all’ILVA se “è disponibile a confrontarsi con la prospettiva di investire” in questa proposta. Claudio Riva, vittima dell’attesa estenuante, è lusingato: “vorremmo un quadro fermo, sono dieci anni che lo chiediamo alle istituzioni”,“mi sembra un’idea molto valida”, sorride e pare sopportare con simpatica ironia anche l’intervento dei sindacalisti, che non degna di uno sguardo. Tutto fila liscio perché lo storico, la classe operaia, il padrone, la curia, il politico sono tutti d’accordo che un’intesa vada raggiunta anche per le 2.700 famiglie che dall’azienda dipendono .
A questo punto Patrizia Avagnina, presidente del Comitato ambiente di Cornigliano è “un po’ sola”, come si affretta a notare Franco Manzitti. Seduta all’estrema destra sul palco ricorda che nel comitato ci sono donne che chiesero negli anni ’60 i primi accorgimenti ecologici. Dice che “l’Italsider era tutto. Se c’era un circolo, era dato dal salario sociale degli operai”, forti della consapevolezza che la fabbrica qualcosa doveva al quartiere. Ricorda Guido Rossa come l’esempio di quella relazione. E attacca: “Quella fabbrica oggi non esprime più niente! Di qualità della vita o di qualità del lavoro ne ho sentito molto poco! Non mi si venga a dire che quella fabbrica può convivere con me! Rispetto a quella fabbrica noi abbiamo pagato un prezzo altissimo! Il dottor Riva diceva che le istituzioni sono inaffidabili. Ma dal 1996 quanti patti ha rispettato lui?” Ancora: “Cosa vuol dire compatibilità? Con che cosa? Con i miei polmoni? Esiste una valutazione di impatto ambientale sulle lavorazioni a freddo? Ricordo a Claudio Burlando che firmò il pre accordo del ’96 in cui si partiva dal quartiere, non dalla fabbrica! La chiusura dell’altoforno è slittata un’altra volta! La proposta che ho sentito questa sera è un pugno in faccia rispetto a quanto ho vissuto sino ad oggi!”
Sembra Lidia Ravera, il viso identico e la stessa rabbia. Un sparuto gruppo di donne l’applaude. Il resto della platea pare indifferente.
Una soluzione che duri 99 anni. Questo ha chiesto Claudio Riva. Questo vogliono i dipendenti. La politica, fatti due conti, traccia i punti di un programma, a due mesi dalle elezioni, costretta a scegliere tra certezza di salario e qualità della vita. Dell’esplosione in altoforno del luglio scorso nemmeno una parola. Patrizia Avagnina è sola. Con lei molti altri.
(Giulia Parodi)