OLI 354 – ILVA : Genova chiama Taranto, tra bilanci politici e prevenzione
“Riteniamo illogico considerare inevitabile che ogni anno ottantamila quintali di residui aerei del centro siderurgico di Taranto debbano cadere sulla città”. “L’introduzione di nuove tecnologie e di nuovi sistemi organizzativi non è un momento unico e definitivo dell’azienda moderna ma fa parte di un processo continuo di crescita dell’apparato produttivo che noi rivendichiamo perché ad esso è legato lo sviluppo economico della collettività”.
E’ un estratto degli atti della conferenza nazionale di Cgil, Cisl e Uil dal titolo “La tutela della salute negli ambienti di lavoro”, marzo 1972.
Ne ha dato lettura, il 26 ottobre, Santo Grammatico, Presidente di Legambiente Liguria promotrice dell’incontro “Genova chiama Taranto. Il caso acciaio. Ambiente e lavoro sono la stessa cosa”. Nel salone di rappresentanza del Comune di Genova manca, però, il pubblico delle grandi occasioni. Peccato. Perché, dopo aver riempito piazze, fatto assemblee, subìto il ricatto lavoro-ambiente, quella di venerdì si è dimostrata una preziosa occasione di riflessione, lontano dai riflettori, per fare il “punto nave”, come dicono in produzione. Un’occasione per ragionare sulle scelte politiche genovesi, criticarle o rivendicarle ricordando le vicende che hanno reso possibile superare il ciclo a caldo a Cornigliano.
Quindi Bernini e Biasotti, per la parte politica e istituzionale, rappresentanti di Legambiente e Federico Valerio, chimico ambientale, per la tutela della salute e del territorio, Federico Pezzoli, RSU Ilva Cornigliano, per il lavoro, hanno messo a fuoco i punti salienti di una storia in divenire in cui Riva – Emilio, famiglia, società? – è stato a tratti o deus ex machina o spietato padrone delle ferriere. Comunque sempre soggetto difficile da controllare.
Così quanto dice Bernini sulle aree: “Il conto è stato fatto sul lavoro che poteva essere dato” e “la parte liberata e già destinata dalla società per Cornigliano ad attività portuale” in parte occupa addetti “ma la quantità di occupati per metro quadrato non è soddisfacente”, si arricchisce con gli “aneddoti” di Biasotti su come Riva fosse stato abile ad ottenere da Mori, suo predecessore in regione Liguria, mille volte di più di quello che aveva prima: dai cinquant’anni di concessione, all’abbuono di tutti i canoni che mai aveva pagato, insieme a tutta una serie di vantaggi. Vinte le elezioni regionali nel 2000, il Senatore Biasotti fa “l’ambientalista” e dice una serie di no. Nel suo album di ricordi anche l’imbarazzo per l’assegno “milionario” staccato da Riva a Berlusconi per la campagna elettorale del 2001. In merito “al contratto fatto nel 2006” con Riva il senatore dice: “Purtroppo ha una grave lacuna: non lega i metri quadrati che gli sono stati dati ai dipendenti, tant’è che oggi ci sono 1500 operai mentre lui dovrebbe farne lavorare 2400. Questo è un fatto grave.” Ma Biasotti non deve fare ammenda perchè lui quell’accordo non l’aveva firmato.
La chiusura della cokeria di Cornigliano – ha spiegato Federico Valerio dell’Ist – ha permesso un abbattimento immediato di malattie e ricoveri, anche dei bambini del quartiere. E ha reso gli abitanti di Cornigliano simili a quelli di altre parti della città che comunque hanno a che fare con l’inquinamento automobilistico, che è altra cosa da quello di una cokeria. La cokeria ha spiegato Valerio non si può ambientalizzare perché intrinsecamente produce fumi cancerogeni. Dell’esperienza Ist beneficerà l’agenzia per l’ambiente pugliese che ha adottato la procedura degli studi epidemiologici genovesi. Tuttavia ha aggiunto Valerio “il sottoscritto che ha diretto quel laboratorio e ha ottenuto quei risultati è andato in pensione e nessuno sta pensando di sostituirlo, perché della prevenzione primaria non gliene può fregare niente a nessuno. Non rende.” Ma i dati ci sono e non bisogna perdere la memoria storica. Si è capito che le acciaierie a ciclo integrale costruite a meno di duemila metri dall’abitato diminuiscono l’aspettativa di vita. La salute non è una cosa vaga, ha spiegato Valerio, e un tumore polmonare costa cinquantamila euro per il ciclo chemioterapico con pochissime probabilità che serva a qualcosa. Basta pensare agli effetti devastanti all’amianto.(Continua)
(Giovanna Profumo – foto dell’autrice)