Ricordi. Non tutto da buttare quei difficili anni ’70

Invecchiando provo un senso di allarme quando qualche episodio mi fa dubitare della mia memoria: così ieri, durante il consueto ascolto mattutino di “Prima Pagina”, ho avuto un trasalimento allorché il conduttore della settimana, Innocenzo Cipolletta (presidente del gruppo Sole 24 Ore), parlando di “Craxi figura binaria”, ha commentato che se non si possono negare i demeriti del personaggio, bisogna però tenere conto delle difficoltà che dovette fronteggiare. Infatti, dice il giornalista, quando Craxi assunse responsabilità di governo, alle sue spalle c’erano gli anni ’70 e “dobbiamo ricordare che gli anni ’70 furono veramente tragici dal punto di vista economico, politico e sociale”.


Che strano, io ricordo invece un periodo straordinario. All’inizio del mitico decennio avevo appena iniziato a lavorare all’ELSAG SPA, ma io non avevo fatto nessuna domanda e fu l’Azienda a scrivermi a casa per invitarmi ad un colloquio! E mi assunse subito con un rapporto a tempo indeterminato! Quando lo racconto oggi a qualche giovane amico o amica, laureato a contratto, interinale, precario da anni, free lance con angoscia da mutuo, vedo passare nel suo sguardo una invidia che trapassa per qualche istante il pur grande affetto.
Ma soprattutto ricordo la cultura e la vita. Fresca fresca di università e un po’ col mito della nobiltà della ricerca scientifica, nei primi mesi trascorsi nell’ufficio aziendale mi ero cominciata ad intristire, ma poi avevo fatto un passo fuori dalla porta ed ero stata travolta dalla corrente di vita che passava di lì. Avevo scoperto lavoratori che alla sera, usciti dal lavoro, si fermavano a seguire le lezioni sul nuovo modo di valutare e promuovere la professionalità in fabbrica, avevo scoperto lo studio della organizzazione del lavoro fatto da quegli stessi che lavoravano e l’analisi dei rischi fatta da quei medesimi che li correvano. Questionari, interviste, piantine dei reparti, puntigliose descrizioni delle competenze e delle mansioni “formali e informali” di ogni singolo lavoratore. Rivendicazioni salariali destinate non ad aumentare gli stipendi ma a creare iniziative utili al quartiere (così nacque, ad esempio, il Centro Civico di Cornigliano).
E poi, dal 1974, le 150 ore! Gli operai all’Università! Un documento della FLM che conservo, registra che ancora nel 1979 i lavoratori iscritti ai seminari universitari erano 1.174, da tutti i settori di lavoro. Dentro a questo, un mondo a parte, “Le 150 ore delle donne”, centinaia di donne all’Università, e poi a discutere in gruppi decentrati nei quartieri: “Il territorio delle donne”, “Noi e il nostro corpo”, “Espressione corporea”, “Nascere, far nascere”; “Prostituzione”, “Devianza femminile, prostituzione e criminalità”. Col 1975 infatti si era sollevato il vortice delle donne nel sindacato, i coordinamenti, le assemblee retribuite di sole donne in fabbrica. L’organizzazione del lavoro e della società, la stessa struttura sindacale, smontate pezzo a pezzo dallo sguardo delle donne.
Certo, furono anni tragici. La violenza ci fu negli anni ’70, fu durissima, e fu violenza contro quella utopia. Ieri una mia amica dell’epoca, parlandone, mi ha detto: “Abbiamo provato a vivere la vita senza competere, negli anni ‘70”
(Paola Pierantoni)