OLI 355: ILVA – Genova chiama Taranto – Taranto risponde
“L’acciaio serve ancora alla nostra manifattura, alla stessa green economy e quindi, da qualche parte, si deve pur produrre, quindi abbiamo bisogno in Italia dell’acciaio primario e accettiamo che venga prodotto a Taranto ma non è più possibile continuare a produrlo alle condizioni in cui è stato prodotto fino ad adesso. L’azione della magistratura e soprattutto la straordinaria mobilitazione popolare oltre che una feconda anche se conflittuale riflessione all’interno del mondo del lavoro ci fanno sperare che finalmente queste condizioni cambino in meglio. Come Legambiente abbiamo deciso di accettare questa scommessa non facile da sostenere quando la gente non ne può più, la pazienza è ridotta a zero e i cui risultati non sono affatto scontati. Per farcela servono rigore, serietà e impegno da parte di tutti. Serve un atteggiamento dell’impresa Ilva meno furbo e arrogante e più orientato alla trasparenza e all’onestà intellettuale. Servono importanti investimenti per risanare e innovare gli impianti e per la bonifica di ciò che è stato compromesso. Il come si supererà a Taranto questa crisi ci dirà molto sulla politica industriale dei prossimi anni nel nostro paese”.
Sono alcuni stralci della lettera inviata da Maria Maranò di Legambiente Taranto all’incontro “Genova chiama Taranto. Il caso acciaio. Ambiente e lavoro sono la stessa cosa” promosso da Legambiente il 26 ottobre. Maranò su Genova ha scritto: “I segnali che ci sono arrivati, tramite i mass media non sono stati confortanti, anzi li abbiamo valutati poco rispettosi della complessità della crisi che la popolazione tarantina sta vivendo e per certi versi anche un po’ miopi – mi riferisco alla dichiarazione fatta dal sindaco a seguito del provvedimento della magistratura di avvio della fermata di alcuni impianti, ricordo che sono ancora tutti in funzione – e alla scelta dei lavoratori di scioperare contro il provvedimento (la Fiom a Genova non ha aderito allo sciopero del 10 ottobre ndr). Far coincidere gli interessi dell’azienda Ilva con il diritto al lavoro è a nostro parere sbagliato, alimentare nei fatti la contrapposizione tra chi chiede il diritto al lavoro e chi chiede il diritto a non ammalarsi per eccesso di inquinamento ambientale non farà fare passi avanti a nessuno.
Su OLI avevamo scritto cosa i politici genovesi presenti in sala – Biasotti e Bernini – dicevano del rapporto con Riva a Genova, dell’accordo di programma, e dell’occupazione sulle aree di Cornigliano. Grazie ai dati forniti da Federico Valerio, chimico ambientale, chi era presente in sala ha potuto cogliere le differenze a livello sanitario tra il prima (area a caldo e cokeria) e il dopo (siderurgia a freddo). Dalla scorsa settimana la cronaca ha registrato la morte di Claudio Marsella, avvenuta al movimento ferroviario dello stabilimento di Taranto martedì scorso. Si tratta della quarantatreesima vittima del siderurgico dal 1992 ad oggi. Una disgrazia che ha acuito lo scontro tra Usb e Comitato dei Liberi e Pensanti da un lato e Fim, Fiom, Uilm dall’altro. La Repubblica ed. Bari scrive che sotto accusa è un accordo firmato “nel 2010 che prevedeva un solo addetto a guidare le macchine di reparto”. Lo scontro, martedì sera, per poco, non è diventato fisico.
La morte di Claudio impone una riflessione totale, molto seria su tutti gli stabilimenti, sulle relazioni umane, sindacali e sulla sicurezza tra tutti i lavoratori. Anche per questa ragione, l’intervento di Federico Pezzoli – RSU Fiom Ilva Cornigliano – all’incontro del 26 ottobre merita una riflessione a parte. (continua)
(Giovanna Profumo – disegno di Guido Rosato)