OLI 362: VOTO ALL’ESTERO – Diritto negato a temporanei e precari
Forte la polemica in questi giorni sugli studenti Erasmus lontani dall’Italia che non possono votare, mentre ancora si rabbrividisce al ricordo dei pasticci dei parlamentari eletti all’estero con la giustissima legge voluta da Pino Tatarella, che colmò un vuoto legislativo davvero indegno. Su modello anglosassone con il Decreto-legge 18 dicembre 2012, n. 223 si è ampliata ulteriormente la platea degli elettori e così alcune categorie di cittadini residenti temporaneamente all’estero e ai quali non è richiesta l’obbligo di iscrizione all’Aire, Anagrafe italiana residenti all’estero, possono votare per corrispondenza.
“Le categorie individuate sono: appartenenti alle Forze armate e alle Forze di polizia temporaneamente all’estero in quanto impegnati nello svolgimento di missioni internazionali; dipendenti di amministrazioni dello Stato, di regioni o di province autonome, temporaneamente all’estero per motivi di servizio, qualora la durata prevista della loro permanenza all’estero sia superiore a tre mesi e inferiore a dodici mesi i loro familiari conviventi; professori e ricercatori universitari che si trovano in servizio presso istituti universitari e di ricerca all’estero per una durata complessiva di almeno sei mesi e non più di dodici mesi che, alla data del Decreto del Presidente della Repubblica di convocazione dei comizi, si trovano all’estero da almeno tre mesi, nonché, qualora non iscritti nelle anagrafi dei cittadini italiani all’estero, i loro familiari conviventi.”
E tutti gli altri? Lodevole la legge, ma assolutamente discriminante, infatti dai “temporaneamente all’estero” sono esclusi non soltanto gli Erasmus, ma tutti i cittadini italiani che sono fuori dall’Italia, come ad esempio i ragazzi che frequentano corsi di studio più lunghi di un Erasmus, durevole al massimo un anno, ma anche coloro che sono andati via perché nel nostro Paese non hanno trovato lavoro e magari sono partiti per una sistemazione precaria, un contratto a termine, una chance altrove.
In realtà iscriversi all’Aire sarebbe obbligatorio, trascorsi tre mesi dall’arrivo in un altro Paese, ma molti non lo fanno e non per una mera questione di tasse, bensì perché si viene cancellati automaticamente dall’assistenza sanitaria nazionale quando si comunica al proprio Comune la diversa residenza: se si rientra in Italia si ha diritto all’assistenza sanitaria per 90 giorni e soltanto per cure urgenti, salvo ricambiare la residenza. Tutto ciò se non si ha distacco per lavoro, un lavoro ufficiale, certificato da un’azienda e se si è nei paesi Ue o in Paesi che prevedono accordi sanitari: se si ha bisogno meglio presentare il proprio tesserino Asl e basta.
Almeno in Europa, altrove il Ministero degli Esteri consiglia “la stipula di un’assistenza sanitaria privata”. Quanti sono in realtà gli italiani all’estero che non sono dichiarati con lo status di “emigranti”? Una marea e tantissimi sono i giovani, che vagano per un lavoro o per studio e non certo per turismo. Ma il loro voto non interessa alla politica, che ne fa un gran parlare ma non li considera ”cittadini aventi diritto al voto”. Se ne sono dimenticati, anche se ora farebbero comodo almeno un po’ di migliaia di voti in più.
(Bianca Vergati)
“Le categorie individuate sono: appartenenti alle Forze armate e alle Forze di polizia temporaneamente all’estero in quanto impegnati nello svolgimento di missioni internazionali; dipendenti di amministrazioni dello Stato, di regioni o di province autonome, temporaneamente all’estero per motivi di servizio, qualora la durata prevista della loro permanenza all’estero sia superiore a tre mesi e inferiore a dodici mesi i loro familiari conviventi; professori e ricercatori universitari che si trovano in servizio presso istituti universitari e di ricerca all’estero per una durata complessiva di almeno sei mesi e non più di dodici mesi che, alla data del Decreto del Presidente della Repubblica di convocazione dei comizi, si trovano all’estero da almeno tre mesi, nonché, qualora non iscritti nelle anagrafi dei cittadini italiani all’estero, i loro familiari conviventi.”
E tutti gli altri? Lodevole la legge, ma assolutamente discriminante, infatti dai “temporaneamente all’estero” sono esclusi non soltanto gli Erasmus, ma tutti i cittadini italiani che sono fuori dall’Italia, come ad esempio i ragazzi che frequentano corsi di studio più lunghi di un Erasmus, durevole al massimo un anno, ma anche coloro che sono andati via perché nel nostro Paese non hanno trovato lavoro e magari sono partiti per una sistemazione precaria, un contratto a termine, una chance altrove.
In realtà iscriversi all’Aire sarebbe obbligatorio, trascorsi tre mesi dall’arrivo in un altro Paese, ma molti non lo fanno e non per una mera questione di tasse, bensì perché si viene cancellati automaticamente dall’assistenza sanitaria nazionale quando si comunica al proprio Comune la diversa residenza: se si rientra in Italia si ha diritto all’assistenza sanitaria per 90 giorni e soltanto per cure urgenti, salvo ricambiare la residenza. Tutto ciò se non si ha distacco per lavoro, un lavoro ufficiale, certificato da un’azienda e se si è nei paesi Ue o in Paesi che prevedono accordi sanitari: se si ha bisogno meglio presentare il proprio tesserino Asl e basta.
Almeno in Europa, altrove il Ministero degli Esteri consiglia “la stipula di un’assistenza sanitaria privata”. Quanti sono in realtà gli italiani all’estero che non sono dichiarati con lo status di “emigranti”? Una marea e tantissimi sono i giovani, che vagano per un lavoro o per studio e non certo per turismo. Ma il loro voto non interessa alla politica, che ne fa un gran parlare ma non li considera ”cittadini aventi diritto al voto”. Se ne sono dimenticati, anche se ora farebbero comodo almeno un po’ di migliaia di voti in più.
(Bianca Vergati)
non credo sia un vulnus se gli italiani all'estero (quelli veri) non possono votare…
dovresti fare i calcoli e vedere quanto costa, nel bilancio dello stato, questa stupida legge, voluta per raccattare voti