OLI 369: POLITICA – Gli amici divisi

La grande maggioranza delle mie amiche e dei miei amici non solo non ha votato Grillo ma, detto in chiaro, proprio non lo può soffrire.
Eppure ho anche carissime e intelligenti amiche e amici che nel Movimento 5 Stelle hanno riposto le ultime, residue, speranze di cambiamento.
Quanto a me, rientro nel primo gruppo.
Ogni tanto mi rimprovero di non aver fatto nessun serio tentativo per far cambiare idea alle care amiche ed amici che mi annunciavano il loro voto grillino. Poi, subito dopo, mi assolvo: il fenomeno elettorale che si è verificato è stato talmente sovrastante che qualche perorazione in più sarebbe stata del tutto inefficace. Dubito inoltre che, pur impegnando tutte le mie forze dialettiche, sarei riuscita a far cambiare idea anche a uno/una solo/a di loro.
Mi interrogo su questo divario, al momento apparentemente incolmabile, nonostante le molte affinità personali, affettive, ma anche di natura sociale, culturale e politica che mi legano a loro, e che legano tra loro alcune di queste persone.
Di certo, penso, sono stati fatti tutti gli errori possibili, sono state commesse tutte le possibili colpe, con l’esito di una realtà politica sconfortante.
Ma questa realtà è riconosciuta e sofferta con la stessa angoscia sia da chi sta nel primo che da chi sta nel secondo gruppo.
E allora, da dove viene una separazione così radicale?
Forse una radice sta “nell’apprendistato politico” che amiche ed amici del primo gruppo hanno alle spalle in misura molto maggiore. Esperienze molto varie, di cui la principale non è quella di aver militato in un partito: in alcuni casi è successo, ma da anni più nessuna di queste persone ha una tessera in tasca. Invece in molti casi c’è l’essere stati delegati sindacali in fabbrica, o parte di associazioni e movimenti che hanno operato politicamente, facendo, nella pratica, i conti con differenze e complessità che impongono la necessità della mediazione non solo come espediente tattico, ma come esito dello sforzo di conoscere, comprendere, accettare, e a volte condividere, le ragioni degli altri.
Nel mio giro amicale ad avere questo retroterra non sono solo le persone più “grandi” di età, ci sono anche delle giovanissime. Tutte comunque reagiscono con  insuperabile diffidenza ai tratti della comunicazione di Grillo: violenza verbale,  semplificazioni, tratto autoritario, sistematica svalutazione degli “altri”, identificazione tra leader e movimento.
Sull’altra sponda prevale senza discussione il sollievo per la scossa che è stata data, la fiducia in un rinnovamento impersonato dalle facce sconosciute che si affacciano. Peraltro, si può osservare, non sono le sole: il 66% degli eletti del PD sono new entries. Tra loro il 41% di donne.
Certamente eravamo giunti a un passaggio che imponeva una discontinuità, e al Movimento 5 Stelle va riconosciuto il merito di aver interpretato questa esigenza, spingendo in questa direzione anche le altre forze poltiche.
Ma lo tsunami senza le consapevolezze e le disponibilità di cui si è detto rischia di produrre, di rimbalzo, un nuovo affondamento nella palude: indebolimento della parte più progressista del Pd, liquidazione di Sel, nuove opportunità ad una destra variamente interpretata;  il tutto a maggior ragione se la concretezza e le speculazioni della crisi economica verranno rese ancora più pressanti dall’incertezza politica.
Ripenso, perché li ho vissuti nei primi anni ’70, a due momenti di passaggio non meno radicali: l’azzeramento della vecchia struttura sindacale fondata sulle Commissioni interne, spazzate via da un’inedita forma di democrazia, il delegato eletto su lista bianca nei luoghi di lavoro. E il separatismo femminista, quando le donne allontanarono gli uomini dai loro gruppi politici e dai loro cortei. Mentre si compivano questi atti di rottura la trama dei rapporti e della mediazione tuttavia non fu interrotta, ed è questa trama che ha sorretto e dato una prospettiva a quelle fasi di cambiamento.  
(Paola Pierantoni)