Il 1° marzo è stata ufficialmente dichiarata la fine dell’emergenza Nord Africa, iniziata nel 2011 con il diffondersi delle primavere arabe e la sorte dei 13mila richiedenti asilo ancora in carico ai centri di accoglienza rimane da definire. In rete c’è già chi è in vena di bilanci e strumentalizzazioni, e sottopone alle ire collettive di Facebook un documento con l’elenco dei rifugiati a Milano secondo la provenienza (vedi figura 1), obiettando che, tra i rifugiati, non ci sono profughi libici e per questo bisogna “rimandare tutti a casa”. A guardare bene il documento, si legge che il primo paese, per provenienza, è il Mali: ma cosa succede in Mali, e cosa c’entra tutto con l’emergenza Nord Africa? Se si considera l’Africa come un continente con una storia in rapida evoluzione e il movimento delle primavere arabe come una violenta onda d’urto che ha avuto ripercussioni anche a sud del Sahara, diventa tutto più comprensibile. A parlare del Mali, durante il ciclo di conferenze Africa Oltre: conoscere l’Africa al di là degli stereotipi, ci sono Giorgio Musso, ricercatore di Storia dell’Africa, Marco Aime, docente di antropologia all’Università di Genova e Ismael Diadié Haidara, storico, responsabile del Fondo Kati library di Timbuktu (figura 2), biblioteca che conserva manoscritti andalusi di centinaia di anni, che testimoniano la penetrazione araba in Spagna. Diaidié è uno dei tanti abitanti del Mali in fuga dal Nord del paese. Il Mali è stato presente quest’ultimo anno sulla stampa, a causa del conflitto in corso, ma ancora di più per la disponibilità di petrolio e per l’intervento armato della Francia. Il relatore descrive le carestie e turbolenze sociali avvenute negli anni, lontano dai media internazionali: il Mali divenne indipendente nel 1960, grazie anche all’opera di movimenti indipendentisti, attivi a partire dal 1948. Nel 1962 vi fu la prima grande ribellione del Nord, repressa nel sangue. La seconda avvenne nel 1990 e anch’essa finì nel sangue, risolvendosi grazie alla mediazione dell’Algeria. Fecero seguito accordi tra il governo maliano e minoranza tuareg, che popolava il nord ed era stata protagonista dei movimenti indipendentisti. Nella rivolta del 1990 aveva lottato a fianco dei tuareg anche il Fronte islamico di salvezza (Fis) dell’Algeria. Dopo le elezioni algerine del 1992, le elezioni vinte dal Fis furono annullate e l’Algeria sprofondò nella guerra civile che sarebbe durata un decennio. I guerriglieri del Fis furono spinti a sud, nel Mali, dove si unirono ai movimenti indipendentisti preesistenti. Nel 2007 si formò Al Qaida per il Maghreb islamico, che si finanzia in Mali – racconta Diaidié Haidara – soprattutto attraverso i proventi del traffico della droga. I vuoti di potere creatisi in seguito alle rivolte arabe del 2011 (e qua ci si collega con gli avvenimenti recenti e con l’effetto domino causato dai mutamenti del nord Africa) aprirono nuovi spazi i gruppi islamisti. Il crollo del regime di Gheddafi causò l’afflusso di milizie di tuareg armati, prima controllati dal regime libico, nella parte settentrionale del Mali. I tuareg, coalizzati nel Movimento Nazionale per la Liberazione dell’Azawad (Mnla), combatterono per l’indipendenza dal governo centrale del Mali. Ad aprile 2012 risale l’alleanza tra il Mnla e gli islamisti, con conseguenze nefaste sulla popolazione: persecuzioni, torture, taglio delle mani e dei piedi, violenza sessuale sulle donne, distruzione di mausolei e monumenti, perdurati fino all’intervento francese. Gran parte della popolazione del nord del Mali è fuggita dalle persecuzioni, tra loro anche il relatore Diadié Haidara, che ha lasciato incustoditi i 12mila manoscritti del Fondo Kati ma che, in fuga a 55 anni dall’ennesima catastrofe del suo popolo, cerca di far conoscere all’opinione pubblica internazionale quello che sta succedendo. (Eleana Marullo)
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