OLI 378: TEATROGIORNALE – L’assassino del piccone
repubblica.it: longo(pdl) l’assassino col piccone gli avrei sparato con la mia pistola
Il processo deve ancora iniziare e gli ultimi spettatori entrano in aula con grossi barattoli di pop corn, facendo alzare le persone già sedute, rovesciando le bibite gasate.
-Scusi, un attimo, Maria come stai? E signora, che vuole, devo passare. Non vede che la mia amica mi aspetta! Mi hai tenuto il posto? No? Mi pareva! E adesso?
Nella sala, un anfiteatro moderno con le tribune a gradoni e le luci al neon, suona una sirena, entrano quattro poliziotti, tre avvocati e l’accusato. Il pubblico si agita, una donna grida, qualcuno fischia. Un neon sopra i palchi lampeggia: SILENZIO.
Al suono di un gong il primo avvocato sale sul palco, guarda il pubblico, sorride leggermente.
– Io ho una pistola, una Ruger Lcr fabbricata in America.
Pausa, lentamente estrae una pistola e la mostra al pubblico.
– Perché ho una pistola? Con chi credete di parlare? Se io mi fossi trovato quella mattina, in quella strada, io non mi sarei fatto uccidere, io non mi sarei andato a nascondere da qualche parte. Io avrei preso la mira.
L’avvocato punta la pistola sull’accusato.
– Bastava sparare alle gambe per farlo smettere. Scende giù dal palco e gli si avvicina.
– Se non si fosse fermato, avrei sparato di nuovo alle gambe e poi
Ora l’avvocato è vicinissimo all’accusato, la canna della pistola gli sfiora le labbra.
– Gli avrei sparato addosso.
Con una mossa repentina l’avvocato prende l’uomo per i capelli, lo caccia a terra e gli infila la pistola in bocca.
– Dente per dente, occhio per occhio. Tu hai ammazzato tre dei nostri e noi oggi ammazziamo te.
Il pubblico esplode, c’è chi vuole che l’esecuzione si compia lì, davanti a loro e per mano dell’avvocato, c’è chi urla vergogna e incita i poliziotti a intervenire per fermarlo.
La luce al neon sopra i palchi lampeggia: SILENZIO.
L’avvocato lascia la testa dell’accusato, sfila la pistola lucida e riprende.
– Noi, che non siamo vittime, ci armeremo e vi verremo a stanare nelle vostre tane per bonificare le nostre terre. Ma chi proteggerà le nostre madri, le nostre figlie, le nostre mogli? Dobbiamo chiedere giustizia dopo aver pianto sui loro cadaveri? Io dico di no. Io dico che dobbiamo dare una punizione esemplare, un avvertimento che valga per tutti loro.
Una parte del pubblico si alza in piedi e applaude. Il secondo avvocato sale sul palco, è un uomo pelato, con una bocca troppo grande e balbetta un po’.
– Ma di cosa stiamo parlando? Certo che fa paura l’idea che uno cammina per la strada così e poi zac! ma anche andare in giro armati è pericoloso, che poi ci si spara a un piede. Io dico, lasciamo perdere, mettiamo questo qui in prigione che poi non è mai bello finirci, e speriamo che non succeda più. Ho finito.
L’avvocato come si è alzato torna a sedersi. Nessuno applaude, qualcuno dice qualcosa ma non si capisce.
Il terzo avvocato va verso l’accusato e l’aiuta ad alzarsi.
– Questo è un uomo. E quest’uomo è colpevole di omicidio. Una società sana deve pensare a tutti i suoi figli, anche a quelli malati, anche a quelli violenti e permettergli di vivere senza nuocere agli altri. E la nostra società ha sottovalutato dei segnali che potevano aiutare quest’uomo a non macchiarsi di questo crimine? O prevenire in qualche modo l’evento così da non dovere piangere le sue vittime? Quest’uomo è colpevole ma io vi chiedo: in che tipo di società vogliamo vivere? In una società basata sulla vendetta oppure crediamo nel valore della vita umana, crediamo in quella forza che ha l’essere umano di modificare se stesso e di riabilitarsi? Crediamo nella Dichiarazione universale dei diritti umani, non perché, per caso, siamo in Europa ma perché crediamo nei valori di tolleranza e di uguaglianza che sono alla base della nostra cultura e della nostra società?
L’avvocato rimane fermo davanti al pubblico. Qualcuno dagli spalti più alti inizia ad applaudire. Sirena di chiusura, tutti escono in fila.
Musica. Entrano le ballerine in tanga e piume: pop corn e cannucce volano giù dalle gradinate.
(Arianna Musso – Foto da internet)