OLI 385: VIAGGI – Il diario di Giulia
Lampoul sur mer 6 maggio lunedì
Sono qui da 12 giorni, e sono le 10 del mattino. Io e Mariella stiamo aspettando Djiby che è partito da Pekini prima delle 7 e non è ancora riuscito a percorrere 30 Km.
Alla fine partiamo. Anche in questo viaggio con 46° all’ ombra abbiamo avuto un’ avventura con la macchina. Stiamo girando senza targa e la polizia stradale ci ha fermati. I nostri eroi sono riusciti a trattare sulla multa, ma siamo di nuovo a corto di benzina. Nel frattempo noto una fila fitta di uomini con vestiti verdi e cesti pesanti in testa e vengo a sapere che in Senegal ci sono i lavori forzati.
Arriviamo a Lampoul sur mer verso le 17.
Sono l’ unica ospite di Casa Meissa gestita da Ibrain detto Ibu: Parla italiano, perché suo fratello lavora come mediatore culturale a Torino. E’ lui che ha fatto costruire queste sette casette tipiche da una ONG italiana. Il costo è di 11.000 franchi senegalesi compresa la colazione.
Djiby è stanco e gli offro il mio letto per dormire un poco, mentre Lamine va alla ricerca di un ristorante per il riso e pesce.
Anticipa i soldi Ibu li metterà sul conto che pagherò quando Mariella tornerà a riprendermi fra un paio di giorni. Io dopo le spese di viaggio ho i soldi contati.
Esco per vedere il villaggio, da sola. E’ una stradina dritta piena di boutiques di ogni genere che porta alla spiaggia dei pescatori. AI lati si spalmano a perdita d’ occhio casette fatte di canne, assi di legno e mattoni. Capre, pecore, galline asini ovunque.
Incontro due italiani Cristiana e Giuliano di La Spezia. Vendono, in società con Aziz (uno del posto conosciuto sulla spiaggia di Monterosso), materiale per agricoltura: trivelle, semi, concimi… In Italia non trovavano lavoro e qui non ci sono tasse da pagare.
Mi offrono un caffè versato da un thermos ambulante. Ci rivedremo domani a pranzo.
Sta venendo buio e Casa Meissa è in fondo alla stradina. Non è ancora pronto il riso e pesce, ma Djiby si è riposato e rinfrescato. “Non è un robot” diceva oggi Lamine riferendosi a lui.
Se tutto va bene rientreranno a Demi dopo la mezzanotte, lui a Pekini più tardi e questa mattina prima di partire ha portato il suo bambino in Ospedale.
Qui la luce elettrica c’ è, ma mancano le lampadine. Si usa la pila.
Mangiamo con appetito e ci salutiamo.
Come ospiti, prima di me, quest’ anno ci sono state le mamme di Cristiana e di Giuliano.
Mi fermo a Casa Meissa per guardare la televisione. Questa sera c’è lo sport nazionale: lotta libera. I campioni grandi e muscolosi come gladiatori romani avanzano pieni di catene,amuleti , frange e tatuaggi. Hanno con loro un Marabout personale e un corpo di ballo maschile che imita i movimenti di lotta che il campione improvvisa. Poi nell’ arena l’incontro fra i due. Con passi cauti e braccia protese si studiano senza toccarsi per minuti, finché zac uno entra nello spazio dell’ altro. Ora sono un unico corpo a quattro gambe che compie piccoli passi faticosi finché con una capriola uno dei due cade a terra sotto l’altro che ha vinto.
Al telegiornale sullo schermo passano immagini di una Dakar paludosa. Le piogge del luglio scorso hanno
fatto crollare case costruite vicino al fiume, mi spiega Ibu, e le acque non sono ancora defluite. Oggi le zanzare della malaria hanno fatto morire un altro bambino. Vado nella mia capanna. Mi sorprendono degli insetti grossi e neri che corrono sul pavimento. Chiamo Ibu “sono scarafaggi.?.” “Si”, mi risponde uccidendone un po’, “ma non pungono.” Lo so anche nelle corsie del vecchio Ospedale S. Paolo di Savona giravano tranquilli mentre mio padre stava morendo.
Forse Djibìy si è messo comodo per dormire. Le lenzuola a una piazza nel mio letto matrimoniale sembrano già vissute. M’infilo sotto alla zanzariera con il completo che mi ha regalato Mariella i calzini e la pila sotto al cuscino. La luce è solo centrale. La giornata è stata piena e soddisfacente. Stendo le gambe finalmente. Una mi formicola e fa male.
(Giulia Richebuono – foto dell’autrice)